“Europa prendi nota, la sinistra umanitaria è in ascesa”, scrive il Guardian sulle elezioni danesi. In Italia sono circolati commenti errati e faziosi. Noi vi raccontiamo come stanno le cose

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“Europa prendi nota, la sinistra umanitaria è in ascesa”, titola il quotidiano The Guardian a proposito della vittoria dei socialdemocratici danesi alle elezioni legislative di mercoledì scorso, ribadendo il risultato già visto in Spagna, Finlandia, Slovacchia e Svezia. Certo, si tratta di risultati che non prefigurano un immediato “sol dell’avvenire”, già da domani mattina, anche perché sull’asse Parigi-Berlino la sinistra, complessivamente, ha rimediato brucianti sconfitte, dalla Spd tedesca a France Insoumise di Melenchon, mentre sul fronte mediterraneo pessimi risultati per Syriza in Grecia e per la lista La Sinistra in Italia. Tuttavia, quella che per alcuni commentatori – e politici italiani – avrebbe dovuto essere la grande cavalcata delle forze nazionaliste pronte ad occupare Parlamento europeo, Consiglio europeo, Commissione europea, istituzioni nazionali, si è rivelata un miraggio. Grazie al cielo, l’opinione pubblica europea ha risposto sconfiggendo, di fatto,  questo pericoloso disegno, aumentando notevolmente – tranne che in Italia – la partecipazione al voto.

Aria fresca socialista arriva dalla Spagna dunque dalla Spagna e dai paesi nordici, ma anche dalla Germania, dove i Grunen, i Verdi, hanno ottenuto un risultato storico divenendo secondo partito nazionale, superando di ben 5 punti percentuali la Spd, ridotta al 15%. Come ha commentato il grande vecchio della socialdemocrazia tedesca, il filosofo Jurgen Habermas, il tracollo è stato determinato dalla GroKo, dal governo di coalizione con la Cdu di Merkel, data ancora oggi dai sondaggi in caduta libera e addirittura superata dai Verdi. Ma Habermas si dice convinto che la nuova generazione di dirigenti della Spd, meno avvezzi alla corsa al governo a tutti i costi, e più sintonizzati con la nuova sensibilità ecologista, riuscirà nel giro di pochi anni a recuperare l’elettorato perduto.

Torniamo però ai risultati della Danimarca, oggetto di interpretazioni errate da parte di alcuni illustri commentatori italiani, in particolare su Repubblica e Corriere della Sera. La sera della vittoria si è diffusa la convinzione che la leader dei socialdemocratici danesi avesse ottenuto un ottimo risultato perché avrebbe omologato il partito alle politiche di destra sugli immigrati. Nulla di più falso. Innanzitutto i socialdemocratici hanno ottenuto un solo seggio in più rispetto alle elezioni precedenti, e hanno perfino perso lo 0,4% in voti assoluti. In secondo luogo, la coalizione di sinistra includeva quatto altri partiti – due dei quali hanno raddoppiato percentuali e seggi – che hanno condotto tutta la campagna elettorale invocando il tema dell’umanesimo e della sinistra umanitaria verso i migranti, trovandosi perfino, in pochi casi a confliggere con qualche candidato socialdemocratico. La somma dei voti degli altri quattro partiti che compongono la coalizione di sinistra (Alleanza Rosso-verde, Alternativa, Sinistra Radicale e il Partito Socialista popolare) eguaglia il risultato dei socialdemocratici, attorno al 25%. Dato il loro successo, i numeri dimostrano una storia diversa da quella raccontata dai media italiani. La perdita di voti e la conquista di un solo seggio in più per i socialdemocratici rende molto più evidente il successo dei partiti umanitari di ispirazione laica, socialista ed ecologista. E c’è di più.

Secondo gli analisti danesi, una spiegazione decisiva della sconfitta del partito popolare al governo e in minima parte dei socialdemocratici è lo spostamento del voto operaio e del mondo del lavoro verso i partiti di quella sinistra che qualcuno si ostina a definire in Italia “radicale”, aggettivo senza alcun senso politico. In Danimarca, il partito popolare ha cercato di sopperire alla mancanza di fiducia di parte dei suoi elettori puntando decisamente verso politiche molto restrittive verso i migranti, utilizzando in campagna elettorale una forte e becera retorica anti-migranti e in certi luoghi anti-islamica. Ed è stato battuto sonoramente, avendo perso metà dei suoi seggi. E quei voti perduti non sono passati all’estrema destra, anch’essa sonoramente sconfitta, avendo perso più della metà di voti e seggi, pur facendo ricorso ai temi e alle argomentazioni ormai di moda ovunque in Europa tra i nazionalisti. L’equazione politiche securitarie anti-migranti uguale a messe di voti vale in Italia, ma non in Danimarca.

Di cosa stiamo parlando dunque quando parliamo di voto in Danimarca, senza aver capito cosa davvero è accaduto e l’enorme terremoto politico che lì ha avuto luogo, premiando, per fortuna proprio i partiti che hanno avuto nei loro programmi accenti forti verso la solidarietà umana e l’accoglienza? Qualche commentatore, che evidentemente ha studiato poco il caso, ha perfino voluto equiparare, sbagliando, il voto socialdemocratico danese con le politiche di Minniti sui migranti, componendo un’equazione del tutto inammissibile. In Danimarca, i socialdemocratici hanno tenuto, ma non grazie alle politiche anti-migratorie, come vien detto. In Danimarca si sono affermati, raddoppiando voti e seggi, partiti di sinistra socialista ed ecologista che mai hanno smesso di praticare la solidarietà, e che hanno rilanciato messaggi di sinistra. Il punto è che negli anni del potere democristiano, in Danimarca sono stati effettuati tagli drammatici ai servizi sanitari, che hanno portato alla chiusura di un quarto degli ospedali pubblici in dieci anni, costringendo più di un terzo della popolazione danese a recarsi presso strutture ospedaliere private, mentre questa cifra raggiungeva un fisiologico 4 per cento nel 2003. La patria del welfare pubblico per tutti è diventata così, grazie allo sciagurato governo democristiano, la patria del privilegio e delle disuguaglianze sociali. E non è finita qui. Lo stesso governo democristiano ha deciso la chiusura di quasi un quinto delle scuole statali, e ha ferocemente ridotto, quasi ad azzerarli, i fondi per la non autosufficienza e per la riabilitazione. La progressiva privatizzazione di questi servizi ha poi scatenato la guerra tra poveri, nella quale hanno fatto le spese i poveri migranti entrati in Danimarca dalla Germania.

Era inevitabile perciò che la campagna elettorale della leader socialdemocratica Frederiksen si concentrasse maggiormente sulla spesa pubblica e sugli investimenti sul welfare, annunciando un aumento dello 0,8% del Pil per cinque anni, e lanciando quella che in Italia un pezzo della sinistra ha negato: la tassa sui grandi patrimoni, sui ricchi. Accanto a questi provvedimenti, la signora Frederiksen si è limitata poi a sostenere che sui migranti avrebbe assunto provvedimenti per regolarizzarli, non per cacciarli dal Paese, poiché le politiche di investimento sul welfare vanno di pari passo con le politiche di sostegno all’accoglienza. Se non si capiscono questi passaggi, elementari, ma evidentemente dimenticati, forse astutamente dimenticati, si corre il rischio di fornire informazione sbagliate. E commenti indecenti.


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