Il 25 aprile, la Costituzione e le frasi ingiuriose sui social network

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Un’allieva di una classe partecipante al Concorso “Rileggiamo l’Articolo 3 della Costituzione” promosso da Articolo21, Federazione nazionale della stampa, Rai e altri enti promotori, scrive nel suo elaborato: «(…) a causa della nuove tecnologie e dei social network abbiamo smesso di vivere nella realtà, non riusciamo più distinguere e analizzare se quello che leggiamo sia reale o falsificato, distorto e falsamente diffuso per alimentare odio. Chi scrive sui profili sui social lo fa spesso per insultare e scrivere parole diffamanti. Io credo all’utilità di questi strumenti per essere informati correttamente, ma allo stesso tempo, dovremmo cercare di utilizzarli in modo sempre corretto. L’impiego che ne facciamo  ha avvicinato le persone lontane da noi ma anche portandoci via chi c’è sempre stato vicino!».

Un’analisi lucida e coerente sulla quale molti adulti dovrebbero riflettere. Il primo paragrafo dell’Articolo 3 della Costituzione sancisce il principio di uguaglianza tra i cittadini senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. Una giovane studentessa di soli 16 anni ha compreso meglio di tanti altri il valore della Costituzione italiana e ha saputo descrivere con poche parole l’uso sempre più distorto di un social come mezzo contundente, una specie di clava virtuale, dove le parole possono ferire più di un gesto o di un semplice comportamento.

L’odio nei social si autoalimenta grazie ad una diffusione virale che degenera e manifesta i sintomi tipici ricollegabili anche al disturbo narcisistico di personalità: il DSM 5 (la quinta edizione del Manuale diagnostico dei disturbi mentali utilizzato in ambito psichiatrico e psicologico in tutto il mondo), affronta per la prima volta il problema del “narcisismo digitale” causato appunto dall’uso del web, ed in modo particolare dei social network. Chi subisce le conseguenze della sua auto – esaltazione, tipico comportamento del narcisista patologico, è portato a cercare visibilità (anche mediatica) attraverso espressioni negative come possono essere i commenti di inaudita “violenza” sul web. Le cronache di questi giorni  riportano la notizia che coinvolge un insegnante di sostegno presso l’istituto alberghiero “Barbarigo” di Venezia, denunciato con un esposto in magistratura da alcuni genitori di studenti per aver scritto sul suo profilo facebook (poi chiuso a seguito della segnalazione), commenti e frasi ingiuriose come quello pubblicato il 9 giugno 2018 in cui definiva «la Costituzione un libro di merda buono per pulircisi il culo», o in uno successivo dove prendeva di mira la senatrice a vita e sopravvissuta ai lager nazisti, Liliana Segre: «Sta bene in un simpatico termovalorizzatore».

Tralasciando altri suoi post segnalati alla Procura della Repubblica di Venezia (riprodotti tramite screenshot con le fotocamere dei telefoni portatili dei genitori), va ricordato come il caso, diventato di dominio pubblico, è stato preso in carico anche dal ministro dell’Istruzione pubblica Marco Bussetti. Presa la decisione di inviare gli ispettori per i dovuti accertamenti ha scritto sul suo profilo facebook: «Insegnare è un lavoro bellissimo, una missione da vivere tutti i giorni dando il meglio di sé per educare i nostri giovani. Sono orgoglioso del quotidiano lavoro svolto da centinaia di migliaia di docenti di ruolo e precari nelle scuole italiane. Ma se qualcuno sale in cattedra per seminare odio e falsità evidentemente non si trova nel posto giusto. E va allontanato dalla scuola. Un concorso vinto non dà il lasciapassare per delirare e offendere. Leggo sugli organi di stampa di atteggiamenti e dichiarazioni inqualificabili da parte di un insegnante in Veneto che, se confermati, rappresenterebbero un fatto gravissimo, un comportamento generale non conciliabile con il ruolo di docente. Non è possibile che un insegnante si esprima in questi termini. Una volta accertati i fatti, assumeremo tutte le iniziative e le misure, anche sanzionatorie, necessarie a tutelare gli alunni e tutti i docenti che ogni giorno, anche a costo di enormi sacrifici, permettono alla scuola italiana di svolgere il suo fondamentale ruolo per i nostri giovani».

Chi ricopre un ruolo come quello di insegnante è chiamato ad un’assunzione di responsabilità determinante per l’educazione e la formazione, anche fuori dalle aule scolastiche, come è accaduto in questo caso. Il problema non è poter scrivere dal proprio computer di casa fuori dall’orario scolastico, come dichiarato dalla moglie a difesa dell’insegnante, ma della diffusione istantanea e virale di pensieri condannabili prima di tutto moralmente; per evitare qualunque forma di omologazione. Una sorte di processo culturale involutivo che viene recepito dalle nuove generazioni (ma è ancor più grave registrarlo nelle persone adulte avvezze a insultare, disconoscendo il passato, e le tante sofferenze subite dai nostri predecessori), fino a uniformarsi come pensiero unico dominante.  Chi difende la vita privata delle persone, come nel caso di questo ex esponente di Forza Nuova, non dovrebbe mai giustificare commenti di questo genere: ogni nostro gesto, azione, parola, pensiero assume sempre una valenza pubblica in epoca 2.0.


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