Morte Mauro Guerra, un caso da riaprire

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Chiunque abbia assistito al processo, dopo aver ascoltato quella sentenza di assoluzione si è chiesto come il Giudice Raffaele Belvederi sia potuto arrivare a tale decisione. Ora, leggendo le motivazioni, si rimane frastornati. Sembra quasi che siano due persone, due anime diverse: quella che ha assolto il maresciallo dei carabinieri Marco Pegoraro e quella che bolla senza mezzi termini come “atto del tutto arbitrario e illegittimo” l’azione dei militari dell’Arma ed arriva a descriverla come un sequestro di persona.
Proviamo a riavvolgere il nastro. Torniamo così al 29 luglio del 2015, una delle giornate più calde dell’estate a Carmignano di Sant’Urbano, provincia di Padova. E’ qui che vive, con i genitori e il più piccolo dei fratelli, il 32enne Mauro Guerra. La loro abitazione è nella stessa via della Caserma dei Carabinieri, pochi metri più avanti. In questo piccolo paese tutti si conoscono e Mauro poi i carabinieri li conosce non solo perché vicini, ma perché lui nell’Arma ha svolto il servizio ausiliare. Ora invece è laureato in Economia e Commercio, svolge il praticantato in uno studio, si dedica ai suoi hobby, la pittura e il culturismo. E’ grosso e forte, Mauro, un gigante buono. Ha sofferto molto per la fine di una relazione sentimentale, è stato anche occasionalmente aiutato con terapie consigliate dal suo medico. Spera, come tutti i giovani, dii trovare presto un lavoro stabile e un’indipendenza economica, ma sono tempi difficili. Forse per questo rimane turbato dalla notizia (peraltro non vera, si scoprirà poi) che un gruppo di richiedenti asilo avrebbe rifiutato il cibo nel centro di accoglienza e vorrebbe organizzare una fiaccolata o un corteo perché i Cristiani sarebbero insidiati dai Musulmani. E tanto si fida dei suoi amici carabinieri che va proprio da loro, in Caserma, perché vorrebbe un aiuto per ottenere le autorizzazioni per organizzare una manifestazione pacifica. In quella Caserma, però, è da poco cambiato il Comandante. Il maresciallo Marco Pegoraro non conosce né Mauro né la sua storia e guardando i disegni (di ispirazione mistica) che Mauro gli ha lasciato ritiene, ecco il punto cruciale, che quel giovane sia malato e che vada ricoverato. Non segue le norme, che prevederebbero in tal caso che venissero avvisati il Sindaco (per disporre eventualmente un Tso, un Trattamento Sanitario Obbligatorio) e le autorità sanitarie, ma decide di fare tutto da solo. Prima prova a convincerlo in Caserma, ma Mauro se ne va e torna a casa. Poi dispone una vera e propria azione militare proprio in casa di Mauro, facendo giungere rinforzi come se si trattasse di scovare un terrorista. Mauro non è un terrorista e non si è asserragliato in un covo, è in casa sua e quei Militari che entrano contro la sua volontà non hanno alcun mandato. E’ proprio Mauro a contestargli questo e lo si vede e sente chiaramente nel video girato dagli stessi carabinieri e prodotto in dibattimento. Comincia una trattativa estenuante nel giardino di casa Guerra, sotto un sole che si fa sempre più implacabile, da mezzogiorno alle tre. In queste ore convulse, si sentirà nel processo, i carabinieri le pensano tutte tranne che fare un passo indietro lasciando, semmai, a medici e specialisti la valutazione sul da farsi. “Ci vorrebbe una rete per catturare le belve, ma circhi qui vicino non ce ne sono” dicono alcuni militari . Provano a fargli bere una bibita dove hanno sciolto dei calmanti. Viene mandato a chiamare un suo amico che è al lavoro a Monselice perché di lui Mauro si fida e potrebbe contribuire a calmarlo. Invece no, quando il suo amico arriva, il Maresciallo Pecoraro ha cambiato idea. “Adesso ci pensiamo noi, facciamo a modo nostro” riferirà di aver sentito un testimone. E fanno a modo loro, insistono, fino a quando Mauro prova a fare l’unica cosa possibile per salvarsi da quella indebita pressione: scappare. E scappa scalzo e con indosso solo gli slip. Nudo, nei campi, disarmato. Lo lasciano correre e stancare con quel caldo afoso che ormai raggiunge i 40 gradi? No, lo inseguono e un carabiniere riesce anche a mettergli le manette a un polso (anche se non c’è, ovviamente, nessuno ordine di arresto) e a quel punto Mauro con il braccio libero lo colpisce. Quel militare, che nel video girato dai suoi colleghi si vede poi rialzarsi e restare sul posto insieme ai colleghi e che in ospedale verrà subito dimesso perché ha solo una lieve ferita in testa (neanche un punto di sutura), è considerato in pericolo di vita dal suo comandante, il maresciallo Pecoraro che si è lanciato anche lui nell’inseguimento fra i campi. Per salvarlo spara a Mauro, il proiettile gli perfora il polmone, lo stomaco, gli provoca un’emorragia. Per un’ora il povero Mauro rimane agonizzante in terra, anche se lì di fronte c’è un’ambulanza e persino un elicottero del soccorso di emergenza. Mauro è morto così. Omicidio volontario ipotizzò il Pubblico Ministero dopo le indagini. Intervenne il Capo della Procura del Tribunale di Rovigo, accusa da riformulare. E così il maresciallo Pecoraro è stato sì rinviato a giudizio ma “ solo” per eccesso colposo in legittima difesa. Dopo le battute iniziali del processo (ripreso integralmente dalle telecamere della Rai per “Un giorno in Pretura” che lo dovrebbe trasmettere nella prossima stagione) quel Pubblico Ministero viene trasferito a Roma e gli subentra proprio il Procuratore Capo. Il processo sembra sempre più a carico di Mauro Guerra , si scava nel suo passato, in quello dei suoi familiari. Non si indaga sull’imputato. Che chiede e ottiene di non essere ripreso, afferma di aver ricevuto minacce di morte anche se non ricorda esattamente quando. Sceglie di non rispondere alle domande, fa solo rare dichiarazioni spontanee. Nell’udienza conclusiva, il 15 dicembre scorso, il Procuratore fa la sua requisitoria e chiede al Giudice di assolvere il Maresciallo. E pochi minuti dopo viene accontentato mentre in Aula i presenti esprimono rabbia e indignazione e ai familiari sembra di impazzire. Oggi leggiamo nelle motivazioni: “Nel momento in cui l’imputato decideva di intervenire in forze presso l’abitazione di Guerra, costui non era affatto pericoloso”.

“In assenza di un provvedimento amministrativo giustificativo l’eventuale limitazione della libertà personale di un cittadino (…) non può che costituire un atto del tutto illegittimo in quanto direttamente confliggente con l’articolo 13 della costituzione addirittura astrattamente configurabile come sequestro di persona”.

“Indubbiamente Mauro Guerra ha inteso difendersi verso quella che lui percepiva essere una indebita compromissione della sua libertà personale. In effetti è da ritenere che tutto l’inseguimento per i campi, nonché i tentativi di immobilizzazione della persona offesa, siano state condotte del tutto arbitrarie ed illegittime”. I militari hanno posto in essere un “grave tentativo di stordimento del Guerra (in quel momento libero cittadino), attraverso la somministrazione occulta di una dose di tranquillante” … “nel suo complesso, un’operazione così orchestrata si sarebbe posta, come minimo, in aperto contrasto con i più elementari diritti costituzionali di libertà personale, autodeterminazione ed integrità fisica del cittadino”.
I legali della famiglia Guerra ( Fabio Pinelli e Alberto Berardi) commentano “”Ci chiediamo se a fronte di questa rappresentazione dell’Autorità giudiziaria, di un intervento così illegittimo da parte dei Carabinieri, sia non solo condivisibile, ma addirittura accettabile, una sentenza di assoluzione. Mauro Guerra doveva essere assistito, se del caso curato, non braccato e poi ucciso . Assumeremo tutte le iniziative necessarie, in tutte le sedi deputate, perché la famiglia di Mauro Guerra riceva finalmente giustizia”.
Questa tragica e assurda storia non può finire così.


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