L’analfabetismo funzionale. Evitiamo che l’ignoranza vada al potere

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Rileggere l’articolo 3 della Costituzione? Sì, ma affrontando in pieno, finalmente, il problema che più di ogni altro ne rende precario e limitato il rispetto: l’analfabetismo funzionale, cioè il saper leggere, scrivere, far di conto, ma non riuscire a comprendere e sintetizzare un testo di media difficoltà o un articolo di giornale scritto o parlato; e quindi la facilità di esprimere idee e bisogni suggeriti da impulsi primari; e quindi l’incapacità di intervenire responsabilmente nella società.

E’ un problema che, grave da sempre, è oggi diventato ancora più grave con Internet e i cosiddetti “social”. Un tempo l’analfabeta funzionale stava a casa o al bar o allo stadio e poteva far danno sociale soltanto quando andava a votare. Non comprendendo informazioni vere e consumando e distribuendo informazioni false, oggi fa danno o può far danno ogni giorno nella politica, nella cultura, anche nelle attività produttive del paese.

Già mezzo secolo fa Tullio De Mauro avvertì, nella sua “Storia linguistica dell’Italia unita”, il pericolo rappresentato da chi non ha una capacità di analisi elementare e, di fronte a eventi complessi (la crisi economica, il lavoro, la disoccupazione, la politica nazionale e internazionale), è capace soltanto di una comprensione di base. Sul tema tornò nel 2014 con la “Storia linguistica dell’Italia repubblicana”. Cinque i livelli di stato cognitivo: un 5 per cento di analfabeti strumentali, incapaci di compitare; un 33 per cento di analfabeti funzionali, in grado di decifrare soltanto lettere e brevi frasi; un altro 33 per cento a rischio di analfabetismo funzionale; supera con difficoltà il precedente livello e con difficoltà raggiunge il terzo livello, considerato il minimo indispensabile per partecipare alla vita sociale. Finalmente, un 29 per cento di alfabetizzati (quarto e quinto livello), di cui il 19 per cento sopra la soglia minima internazionale di competenze alfanumeriche necessarie per orientarsi con responsabilità nella vita di una società sviluppata.

Erano dati (Ocse) spaventosi, ma pochi si spaventarono nei due campi – la scuola e l’informazione scritta e soprattutto parlata – che erano gli strumenti istituzionalmente dedicati a tenerne conto. Solo il 29 per cento della popolazione era ai livelli culturali opportuni. Stampa scritta, stampa parlata, stampa digitale, Rete: soltanto quel 29 per cento capiva come funzionano le istituzioni e aveva una corretta comprensione della dialettica politica.

Con una platea come questa è sorprendente che oggi sul palcoscenico della comunicazione ci siano tanti che non se ne rendono conto e colpevolmente gestiscono l’informazione non come strumento di conoscenza ma come oggetto di intrattenimento, privilegiando i contenuti che non si rivolgono alla ragione ma ai sentimenti, che non suggeriscono riflessioni ma suscitano emozioni.

Il problema non è solo italiano, come dimostrano molte esperienze contemporanee; ma l’Italia è in fondo alla classifica europea. Conviene muoverci allora, in forza dell’articolo 3 della Costituzione, per garantirci che l’ignoranza non vada al potere o, se c’è già, non ci resti.


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