Ipazia è ancora oggi simbolo di libertà e diritto di espressione. La storia si ripete…

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La filosofa Ipazia è stata una delle figure più influenti della filosofia e dell’astronomia tra la fine del IV l’ inizio del V sec. d.C. protagonista della filosofia neo – platonica e divenuta celebre nei secoli per essere stata uccisa nel 415 da monaci parabolani ad Alessandria d’Egitto durante l’epoca delle persecuzioni anti-pagane stabilite per legge dai Decreti teodosiani .Una figura rievocata dalla letteratura e dal cinema che ne ha tratto spunto per raccontare la sua vita terminata tragicamente anche se va riconosciuto come sia stata strumentalizzata dalle fonti storiografiche e tradita dalla letteratura modificando la realtà storica. La sua vicenda è stata raccontata nel film “Agorà” diretto dal regista A. Amenár, pur con molte libertà nella ricostruzione, fa rivivere la leggendaria figura di Ipazia da Rachel Weisz.

La responsabilità di chi commise il delitto del quale è accertato che fu opera del fanatismo cristiano, dietro il quale c’era il vescovo Cirillo, mandante dell’efferato delitto. Molte altre sono state le pubblicazioni romanzate private delle fonti documentaristiche accertate e rese acritiche. Ipazia è famosa quanto sconosciuta in realtà: poche sono le prove documentate che sono state tramandate nei secoli. Tra le studiose più riconosciute Silvia Ronchey è l’autrice del saggio “Ipazia. La vera storia” pubblicato nel 2011. La filologa insegna Civiltà bizantina all’Università Roma Tre e sulle pagine di Repubblica ha ricordato come la Chiesa Cattolica oltre ad aver fatto santo il vescovo d’Alessandria Cirillo lo continui a celebrare tanto che nel 2007 è stato ricordato da papa Benedetto XVI. A teatro l’attrice Maria Eugenia D’Acquino ne è interprete con “Ipazia. La nota più alta” uno spettacolo nell’ambito del progetto ScienzaInScena, avvalendosi della drammaturgia di Tommaso Urselli e la regia di Valentina Colorni. Con lei sul palco del Portland Teatro di Trento il filosofo Giuseppe Girgenti ricercatore all’Università San Raffaele di Milano, uno dei massimi esperti di Platone. Al termine dello spettacolo la conversazione a due voci che ne è seguita ha coinvolto il pubblico in modo partecipativo e capace di contestualizzare l’esperienza artistica all’interno di un presente storico segnato da lacerazioni sempre più profonde per la vita democratica del nostro paese. Un contributo significativo per dare al pubblico la possibilità di riflettere su quanto sia importante conoscere la biografia di Ipazia alla luce degli accadimenti che si ripercuotono sulla vita delle persone e dei mutamenti sociali e culturali là dove vengono a mancare i diritti fondamentali delle persone. Ipazia era una convinta sostenitrice e seguace della filosofia neoplatonica oltre che di Plotino.

Una semplice ambientazione scenica curata da Andrea Ricci composta da pergamene custodite nel loro tubi appesi a dei fili a rappresentare l’immenso archivio del Museo di Alessandria, la biblioteca più grande del mondo. Il sapere è custodito in questo luogo e da qui viene estratto per diffonderlo all’umanità stessa: la narrazione si rifà a citazioni scelte senza soluzione di continuità al fine di raccontare con la massima libertà figure storiche, episodi significativi della storia, della cultura, del pensiero. Non c’è un intento fine a sé stesso per rievocare la vita di Ipazia (una scelta impossibile considerando le poche fonti sicure che attestano la veridicità dei fatti accaduti), ma è ben più interessante che la figura di questa donna si presti a parlare di argomenti strettamente legati alla filosofia e alla cultura che non conosce confini. Al coraggio di affrontare i dogma della Chiesa, la volontà di sondare nuove scoperte scientifiche, e non per ultima, la libertà di pensiero, condizione in cui oggi assistiamo al tentativo di reprimerla e limitarla. Raccontare Ipazia permette di spiegare come sia sempre ripetibile nel corso dei secoli il rischio di vedersi osteggiare qualunque inedita teoria o contributo in grado di ampliare la conoscenza. L’attrice interpreta i principali personaggi che ruotano intorno alla vita di Ipazia, riuscendo a suggestionare per la sua convincente presenza scenica.

L’essere umano è portato a studiare e a scoprire ma allo stesso tempo prova diffidenza, paura e sentimenti di paura fino alla negazione per tutto ciò che è ignoto. Chi ha osato contraddire con cognizione di causa e ammirevole capacità di studio e ricerca ha subito torture e la perdita per la propria vita. “In Ipazia. La nota più alta” sono racchiuse altre storie simili alla sua: eroi ed eroine che hanno contribuito al progresso e per questo condannati/e a morte. La narrazione teatrale di Maria Eugenia D’Aquino diventa così occasione preziosa per ricordare chi è scomparso mentre come tanti giornalisti uccisi nell’esercizio del loro dovere, così come è accaduto a Ilaria Alpi e Miran Hrovatin, il giovane Antonio Megalizzi,  e a Giulio Regeni.
Visto al Teatro Portland di Trento

Ipazia. La nota più alta

di Maria Eugenia D’Aquino, Tommaso Urselli
regia Valentina Colorni

assistente alla regia Claudia Galli
con Maria Eugenia D’Aquino
scene Andrea Ricci

costumi Mirella Salvischiani e Alessandro Aresu

musiche Maurizio Pisati
luci Emanuele Cavalcanti

produzione PACTA dei Teatri


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