Giornalismo di qualità per contrastare la disinformazione online, le direttive del Consiglio d’Europa

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Gli Stati che hanno ratificato la Convenzione europea dei diritti dell’uomo hanno obblighi positivi in materia di libertà di stampa. Pertanto, sono tenuti ad adottare misure per consentire ai giornalisti l’esercizio della propria attività che è essenziale non solo per garantire la libertà di informazione, ma anche per la realizzazione della stessa democrazia, della rule of law e l’esercizio dei diritti propri di un Paese democratico, che permettono a ogni individuo di partecipare alla vita pubblica. Tradotto in fatti concreti, vuol dire che le autorità nazionali devono intervenire con sostegni di natura economica per permettere la realizzazione del giornalismo di qualità, essenziale anche per contrastare la disinformazione online. È il Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa ad affermarlo nella Dichiarazione “on the financial sustainability of quality journalism in the digital age” (Decl. n. 2) approvata il 13 febbraio. L’atto include una serie di misure che suonano come un monito agli Stati tenuti, scrive il Comitato dei Ministri, a garantire il giornalismo di qualità, che ha bisogno di mezzi. Già la Corte europea dei diritti dell’uomo, in passato, ha chiarito che le notizie e gli articoli della stampa non sono prodotti, ma beni deperibili da proteggere con interventi positivi.
Nella Dichiarazione, in questa direzione, si chiede agli Stati di assicurare l’effettiva realizzazione del giornalismo di qualità e, quindi, l’indipendenza dei media, con azioni positive come regimi fiscali vantaggiosi, programmi di sostegno finanziario, possibilità per gli editori e per i giornalisti di creare organizzazioni che usufruiscano di benefici come quelli previsti per gli enti non profit. L’industria editoriale è crollata, i costi di produzione sono elevati, le risorse provenienti dalla pubblicità diminuite: un insieme di fattori che mettono a repentaglio il giornalismo di qualità e, in particolare, la copertura di eventi di interesse pubblico, colpendo soprattutto il giornalismo investigativo a livello locale, nazionale e internazionale. Ma non solo. La crisi e l’assenza di interventi statali hanno portato a un deterioramento delle condizioni di lavoro dei giornalisti, rendendoli vulnerabili alle pressioni e colpendo le capacità di indagine, in alcuni casi procurando finanche forme di autocensura. Sul piano del mercato editoriale, questo ha provocato una concentrazione dei mezzi in pochi gruppi editoriali con una diminuzione del pluralismo. Alcuni media hanno risposto con un cambiamento dell’attività dando priorità alla velocità e al volume piuttosto che alla sostanza. In pratica, si assiste a uno sfruttamento in termini economici dell’ambiente digitale, con l’impiego di algoritmi, tutto con l’obiettivo di attirare l’attenzione del pubblico. Si sta sviluppando – avverte il Comitato – una cultura del “clickbait”, per attirare l’attenzione su notizie a effetto soprattutto emotivo, mettendo da parte le informazioni di qualità. Una prevalenza sostanziale del sensazionalismo sull’accuratezza e sul giornalismo di qualità. Per arginare queste derive, tra le altre misure, il Comitato dei ministri ha chiesto interventi volti a garantire che i profitti derivanti dall’ambiente digitale siano ripartiti in modo equo e, quindi, ridistribuiti dalle piattaforme online a coloro che forniscono le notizie, con l’utilizzo di tali entrate a vantaggio del giornalismo di qualità.
Intanto, però, molti Paesi, anche europei, provano a frenare il giornalismo. Con diverse modalità come mantenere leggi che hanno un “chilling effect” sulla libertà di stampa, come è il caso delle norme sulla diffamazione che prevedono la detenzione per i giornalisti.
A questo si aggiunga che, come rilevato nel rapporto annuale della Piattaforma sulla promozione della protezione del giornalismo e della sicurezza dei giornalisti del Consiglio d’Europa, intitolato “Democratic in danger – Threats and attacks Media freedom”, diffuso il 12 febbraio, continua il trend relativo ai tagli al servizio pubblico nonché alle ingerenze dei Governi nella governance, situazione che rende difficile un lavoro svolto con indipendenza. Sempre nel rapporto dal quale, tra l’altro, risulta che l’Italia è il Paese Ue con il più alto numero di messaggi di allerta inseriti nella piattaforma, relativi a rischi per i giornalisti e che è tra i pochi Paesi che non rispondono alle segnalazioni, è evidenziato il deterioramento generale con riguardo alla protezione delle fonti, con perquisizioni sul posto di lavoro e nelle abitazioni dei giornalisti, nonché l’inerzia o la scelta di alcuni Stati di lasciare le norme sulla diffamazione che prevedono il carcere.
Tra questi l’Italia che, aggiungiamo, non fa nulla per bloccare gli assalti giudiziari ai giornalisti che, tra rischi di misure detentive e richieste milionarie di risarcimenti, non sono messi nelle condizioni di svolgere il proprio lavoro. Con buona pace degli obblighi positivi che gravano sugli Stati in base alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Sul punto, quindi, sarebbe indispensabile un intervento del Presidente della Repubblica, come garante della democrazia del Paese e anche dei giudici nazionali che dovrebbero sollevare la questione di costituzionalità delle norme contenute nella legge n. 47/1948 e dell’articolo 595 del codice penale affinché la Consulta possa accertare la contrarietà di dette norme all’articolo 117 della Costituzione il cui contenuto è dato anche dall’articolo 10 della Convenzione europea.


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