Le condanne di Aemilia e l’occasione di un processo per capire cosa sia davvero la ‘ndrangheta

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Un’altra pagina è stata scritta sulle infiltrazioni della ‘ndrangheta in Emilia. Dopo 195 udienze e due settimane di camera di consiglio, ieri il dibattimento del processo Aemilia è arrivato a sentenza per 148 imputati, 125 sono stati condannati; le assoluzioni hanno riguardato prevalentemente le posizioni minori. Due anni sono stati inflitti all’ex calciatore della Nazionale Vincenzo Iaquinta, per una questione relativa alla detenzione di armi, mentre il padre Giuseppe è stato condannato a 19 anni per associazione mafiosa. Non appena il giudice ha letto le loro condanne, i due si sono allontanati dall’aula urlano: «Vergogna, siete ridicoli, avete condannato persone innocenti, tutto il mondo lo deve sapere».

Ma non sono state le uniche urla della giornata. I familiari di altri imputati hanno inveito contro la corte, continuando a professare l’innocenza dei propri congiunti. L’intervento dei carabinieri che presidiavano l’aula ha permesso di calmare gli animi evitando ulteriori tensioni. Ma il clima non poteva che essere teso: l’aula era gremita, erano presenti oltre 300 persone tra imputati, familiari, avvocati, giornalisti e associazioni. E la corte non ha fatto sconti, innalzando in diversi casi le richieste dei pubblici ministeri. La pena massima ha superato addirittura i 38 anni ed è stata comminata a Gaetano Blasco, ritenuto un elemento di spicco della cosca: era lui che rideva insieme a un altro imputato, che poi si è pentito, subito dopo il terremoto dell’Emilia del 2012, pensando ai ricchi affari della ricostruzione. Anche un imprenditore modenese legato alla ricostruzione del terremoto ha avuto una condanna a oltre 9 anni. In aula hanno partecipato alla lettura della sentenza alcuni studenti: una presenza importante la loro.

Grazie all’associazione Libera e all’impegno di molte scuole, diverse classi di ragazzi da tutta l’Emilia Romagna hanno potuto seguire, nel corso di questi anni, le udienze del dibattimento per farsi una concreta idea di quello che significa un processo per associazione mafiosa. Un’iniziativa che è stata fortemente criticata dagli imputati che, fin dall’inizio, hanno contestato la presenza dei ragazzi in aula. I giudici, invece, hanno ritenuto che si trattasse di un processo troppo importante e formativo per precluderlo agli studenti, anche a quelli non ancora maggiorenni. Per cui tra il pubblico, la presenza di giovani alunni è stata sempre costante e anche in questo appuntamento conclusivo non è mancata. Ed è forse questo il messaggio più bello: al di là degli anni di pena che sono stati comminati agli imputati, il dibattimento del processo Aemilia è stato importante anche per le lezioni che ha impartito agli studenti che lo hanno seguito. Un’occasione forse unica e irripetibile per molti di loro per capire cosa sia la ‘ndrangheta e quanto possa danneggiare un territorio, colpendone l’economia, la libertà di stampa, le istituzioni e addirittura la mentalità delle persone.


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