SOS Scuola : alla ricerca del rispetto perduto

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Il dovere primario della scuola è quello di formare i giovani a diventare un giorno onesti e civili cittadini. Il dovere degli insegnanti è quello di trasmettere agli alunni il loro sapere, di appassionarli al piacere dello studio, così da aprire loro le porte della conoscenza, suscitare le loro curiosità intellettuali, stimolare il pensiero critico, permettere di sconfinare in futuro nell’infinito, oltre l’orizzonte. Il dovere degli alunni è quello di studiare, imparare ed entrare in relazione di empatica gratitudine con coloro che, con passione e umilmente, da una cattedra (negli anni svuotata del ruolo sociale che deteneva) continuano a svolgere il loro compito.

Gli insegnanti sono al servizio degli alunni e a loro si deve rispetto. Si è invece diffusa negli ultimi anni una narrazione della scuola vincolata ad un uso strumentale, come fosse un mezzo di avviamento al lavoro, rilegando l’essenzialità del suo valore culturale in secondo piano.

E’ una vergogna che la professionalità dei docenti sia stata progressivamente svalutata da un punto di vista identitario e retributivo. Nel corso degli ultimi decenni, la scuola è stata messa all’angolo dai governi che si sono alternati alla guida del Paese. Si è accentuato il ruolo manageriale dei capi d’Istituto e il loro reclutamento; mentre la collegialità del corpo insegnante è andata sempre più sfilacciandosi, creando di fatto un vuoto di ideazione programmatica, che solo un continuo confronto fra relazioni personali e ambiti disciplinari era invece in grado di assicurare. E così si sono aperte voragini che nulla hanno a che vedere con gli scenari propri degli ambiti culturali ed educativi!

Stiamo assistendo poi ad un fenomeno preoccupante di intromissione impropria di truppe di genitori all’interno delle aule scolastiche in veste di difensori ad oltranza di presunti abusi e ingiustizie, subiti dai loro preziosi rampolli asinelli. Mai si erano visti in precedenza madri e padri rivestire i panni di “sindacalisti” dei loro figli in uno scontro frontale con i professori, ridotti ad una controparte senza voce in capitolo. La sinergia preziosa e costruttiva di un rapporto fecondo fra famiglie e scuole, che tante conquiste aveva segnato nel passato, sembra ormai un ricordo lontano. Anche così si delegittima la scuola. Anche in questo modo “piccoli mostri crescono” e l’alienazione prende il sopravvento, a scapito di una graduale crescita psicologica e valoriale di menti in formazione.

La cronaca di queste ore ci racconta di ulteriori episodi di teppismo nei confronti di un anziano professore di lettere, messo alla berlina da un bullo di un Istituto Tecnico di Lucca che gli ha intimato di sostituirgli l’insufficienza con il “6 politico”, intimandogli anche di inginocchiarsi, urlando: “Chi comanda qui? Non mi faccia incazzare!”, e altro ancora.  La scena è terribile; il povero professore resta quasi inerme davanti all’oltraggio, forse è spaventato, forse è rassegnato; forse crede che è superfluo ingaggiare uno scontro verbale, che avrebbe potuto far scatenare ulteriori reazioni. Assistiamo anche noi impotenti alla gogna mediatica. La classe ride, c’è chi gira il solito video, che in poche ore diventa virale. Il preside della scuola ha presentato formale denuncia alle autorità. Il ministro Valeria Fedeli ha chiesto misure disciplinari esemplari. Noi, per il  bene dei nostri figli, attendiamo fiduciosi.
È una questione di serietà e autorevolezza. Non ci può essere nessuna giustificazione a tali atti di vandalismo. Se la si definisce “Buona Scuola”, allora che lo sia. Che difenda la trasmissione del sapere, che valorizzi i ragazzi volenterosi e studiosi, la quasi totalità a prescindere dalle loro provenienze sociali o geografiche, che vogliono costruire su basi sane il loro futuro. Che si tuteli la loro serietà e impegno, premiandoli, gratificandoli e colpendo invece con sanzioni dure i trasgressori, i distruttori delle regole civili e della serenità del gruppo scolastico. Una classe è un microcosmo di società, dove circolano complesse dinamiche di carattere affettivo e comportamentale, con gerarchie che hanno un loro rapporto dinamico in continua evoluzione, da tutelare, da cementare; non certo da mettere in pericolo e in competizione tramite deliranti protagonismi.

I giovani sono perfettamente in grado di comprendere la distinzione fra il bene e il male, fra il lecito e l’illecito. E sono gli adulti, insegnanti e genitori in un’ideale simbiosi ad essere gli arbitri di tali contesti. La scuola, come comunità di docenti, nonostante le riforme e controriforme che si sono perpetuate negli anni, è ancora qualitativamente e didatticamente ottima. Chiunque abbia avuto esperienze in questo ambiente e amicizie fra professori lo sa bene. Gli insegnanti, con i loro modesti stipendi e i loro libri consunti che sempre li accompagnano vivono la loro professione con il massimo impegno sia sul piano didattico che su quello formativo. Gli episodi di bullismo sono ancora marginali. I Social Network certo li amplificano, ma per fortuna la realtà è altra. E proprio per questo motivo vanno severamente puniti i violenti: per stroncare e ridimensionare un fenomeno che non deve diventare consuetudine.

Ci sono sempre state, seppur in sordina, le contestazioni ai professori, ma rientravano nei limiti “consentiti”. Certo, il web può essere un amplificatore devastante. E allora che le punizioni siano esemplari. Se, per ipotesi fantasiosa, a chi manca di rispetto verso un insegnante si infliggesse, per esempio, il castigo di tenere puliti gli ambienti scolastici per un mese, e lo si mettesse in Rete, si scatenerebbe una “risata collettiva” oppure si prenderebbe coscienza che umiliare gli altri è un gesto vigliacco e crudele?

Certamente, educazione al rispetto implica anche altre considerazioni. Bisogna interrogarsi a fondo sulle modalità di inclusione di tutte le differenti potenzialità dei ragazzi, sulla promozione dei tanti talenti, nascosti spesso fra le pieghe degli ambiti più socialmente disagiati, che hanno invece il sacrosanto diritto di emergere e di iniziare fin dall’adolescenza a poter salire su “quell’ascensore sociale” fermo da tempo. Si devono rivedere tutti quei tagli di spesa che di fatto hanno ridotto in modo drastico l’assistenza e il sostegno a circa 200 mila alunni disabili. Soprattutto negli Istituti periferici non si sono creati strumenti idonei per favorire la convivenza fra giovani di etnie e religioni differenti, che potrebbero determinare “scomposte” stratificazioni e rivalità fra “ultimi”, in concorrenza fra di loro. Non si possono far ricadere queste lacune sulle spalle degli insegnanti, già oberati da tanti problemi. Se i ragazzi sono da educare, non di meno lo è la classe politica e dirigente del Paese, sempre pronta a pontificare, ma molto meno a sporcarsi le scarpe sul terreno.

La nostra solidarietà e il nostro pensiero, intanto, vanno all’anziano professore. Lo immaginiamo con gli occhi lucidi, la consapevolezza dignitosa della sua professionalità, il dolore intimo che il suo amore per Leopardi è stato vilipeso da un ragazzotto ignorante, che non sa guardare neppure “Alla luna benevola” nè contemplarla. Speriamo che arrivi anche per lui il Tempo salvifico, “pien d’angoscia a rimirarti: E tu pendevi allor su quella selva, Siccome or fai, che tutta la rischiari”.


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