Il duopolio Rai-Mediaset ha perso le elezioni

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Il duopolio tv Rai-Mediaset ha perso le elezioni. Se, però nessuno ha vinto e ci si avvia verso un governo di “scopo” allora, “Viva il duopolio!”. Il suo superamento, in ogni caso, dipende non solo dal nuovo quadro politico, ma anche dalla nuova ondata di espansione dei gruppi multinazionali sul mercato europeo e italiano. Rai e Mediaset, da sempre, si sostengono a vicenda, ruotando intorno all’asse parlamentare costituito dal PD da una parte e da Forza Italia dall’altro. Il vertice Rai in carica scade quest’estate, e dovrà essere rinnovato, per la prima volta, con la legge sulla governance approvata sotto il governo Renzi, e non più con la Gasparri. L’amministratore delegato sarà designato e proposto dall’azionista, quindi dal Governo (grave anomalia che nessuno, in questi anni, ha pensato di correggere, il fatto di avere l’esecutivo come azionista unico del servizio pubblico). Farà parte del nuovo CdA composto da sette membri, due dei quali nominati direttamente dal Governo, quattro da Camera e Senato e uno dai dipendenti, secondo un Regolamento già approvato dall’attuale vertice. Per fare il nuovo vertice ci vuole un Governo, innanzitutto e degli accordi in Parlamento. Una proroga dell’attuale vertice non è da escludere. Il governo e la sua maggioranza, quali saranno, avranno quindi il controllo del vertice Rai. Saranno decisive le loro decisioni sulle risorse (canone, con la determinazione annuale della quota riservata allo Stato e pubblicità, dopo gli esposti di Mediaset all’Agcom) e sugli assetti dell’azienda, con la partita aperta di RaiWay e dell’operatore unico delle torri di trasmissione.

Un governo di centrodestra potrebbe riproporre la fusione EITowers-RaiWay, magari comprendente le torri, ma non i multiplex, di Persidera. La privatizzazione della Rai sembra, per ora, un’opzione secondaria, ma non da scartare. L’avvenuto rinnovo della concessione, con relativa convenzione, e del contratto di servizio quinquennale, dovrebbe mettere la Rai al riparo da quest’ultima opzione. Il rischio del ridimensionamento, con perdita di risorse e ascolti, è invece dietro l’angolo (i Cinquestelle hanno più volte ribadito la proposta di ridurre drasticamente il numero dei canali del servizio pubblico).

Le sorti di Mediaset sono legate a quelle politiche del suo azionista. Le azioni sono crollate del 5%, dopo la notizia del sorpasso della Lega su Forza Italia. Mediaset controlla circa il 60% del mercato pubblicitario televisivo con poco più del 30% degli ascolti, e, dopo il flop della pay tv, punta tutto proprio sulla tv gratuita e quindi sulla pubblicità: da qui la volontà di restringere se possibile, o comunque di non far ampliare gli spazi di pubblicità della Rai e di Rai1 in particolare. Da qui, la boutade preelettorale di Renzi: togliere il canone della Rai per spaventare Mediaset. Quest’ultima è impegnata in un duro confronto giudiziario e aziendale con Vivendi. Ora il gruppo italiano appare meno forte, dopo le elezioni, nei confronti di quello guidato da Vincent Bollorè, soprattutto se Forza Italia non avrà ruolo nel governo. In soccorso di Mediaset potrebbe arrivare l’amico americano: il fondo Elliot, che ha finanziato il cosiddetto acquisto cinese del Milan e che rastrella azioni TIM per mettere in difficoltà Bollorè. In ballo vi è la separazione della rete attuata da TIM, la concentrazione delle attività sui contenuti per la rete e lo streaming, con un possibile accordo con Mediaset per sfruttarne i contenuti attraverso i quali vendere la banda ultralarga fissa e mobile. L’intero assetto della comunicazione italiana e di un’industria strategica per il nostro futuro, dalle tlc al broadcasting, sarebbe condizionato da tale accordo, finora solo ipotizzato, ma bloccato finora dalle opposizioni incontrate nel CdA di Telecom dalla joint venture TIM-Canal Plus sotto l’egida di Vivendi. Bisognerà capire quanto il valore dell’italianità sarà centrale o meno per il nuovo governo, quando arriverà, e come influenzerà il “pezzetto” nazionale del nuovo risiko dell’offerta di contenuti. Siamo anche all’inizio di una guerra commerciale tra Stati Uniti ed Europa, che a sua volta può diventare una variabile importante, ad esempio, nel favorire magari una major europea come Vivendi rispetto a una compagnia americana da parte dei governi e delle authority continentali.

Occorre tenerne conto, mentre stanno andando avanti i “movimenti” delle grandi compagnie statunitensi verso l’Europa e l’Italia: Comcast è entrata in competizione con la Fox di Rupert Murdoch per acquisire Sky Europe, sottraendola all’acquisizione della Fox da parte di Disney. Sky, nel frattempo, sigla un accordo commerciale con il suo più pericoloso concorrente, Netflix, a partire dal 2019, mentre Fox entra al 4% in Chili Tv. Tutti, da Mediaset a Sky, da Vivendi a Disney, cercano posizionamenti nell’offerta di contenuti di qualità in streaming. Da sottolineare come sia Comcast, sia Disney, sia Murdoch controllino un network televisivo (Nbc, Abc e Fox, rispettivamente) e uno studios di produzione (Disney, Universal e Fox) a testa.

L’Italia televisiva non è più un mercato chiuso ma terra di conquista, anche se Sky sa bene, sulla propria pelle, che con la politica, e con il nuovo quadro uscito dalle elezioni, bisogna sempre fare i conti. La Rete ha aperto una falla nel duopolio chiuso e protetto da un assetto politico, di cui è anche il protettore. Ha aperto la strada a tale superamento il satellite, che mostra però limiti di espansione oltre una certa soglia di abbonati. Tutto s’intreccia con la partita sulla cessione da parte delle tv della banda 700 delle frequenze terrestri, da effettuare entro il 2022, con una gara, a frequenze occupate, tra le compagnie telefoniche per la banda larga mobile.

Manca totalmente, infine, nelle discussioni post-voto, qualsiasi accenno sulla società digitale e le sue conseguenze sul lavoro, le professioni, i linguaggi, le identità locali e nazionali, le comunità trasversali. Politici, giornalisti, osservatori si riferiscono talvolta a Facebook come fosse un media aggiunto agli altri e non una parte centrale dell’esperienza di vita delle persone connesse. Il duopolio ha perso le elezioni. Internet le ha vinte. E le ha fatte vincere (ma questo è un altro discorso). Un governo “transitorio” non avrebbe la forza di andare a intaccare posizioni egemoni nel sistema delle comunicazioni. Che il duopolio faccia il tifo per quest’ultima soluzione?


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