“Tribute band”, il fenomeno diventa business

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Siae: l’utilizzo dei repertori musicali genera incassi per oltre 445 milioni di euro l’anno e fa la fortuna di molti autori 

In Italia riempiono piazze in odor di sagra e feste patronali, mentre all’estero c’è chi fa il tutto esaurito in teatri e palazzetti. Male che vada, portano clienti al localino alla moda. Il fenomeno delle “cover” e “tribute band” si allarga sempre più, soprattutto grazie alla domanda: per molti del pubblico è l’unica occasione di potere ascoltare dal vivo le canzoni di artisti che, per scelta o per anagrafe, non salgono più sul palco o limitano le loro esibizioni. Un esempio: per ascoltare le numerose hit live di Adriano Celentano occorre cliccare su Youtube e vederne l’ultimo concerto nell’Arena di Verona, nel 2012, oppure assistere all’esibizione dei tanti che vi si rifanno. Uno, il “re degli ignoranti”, alias Maurizio Schweizer, cremonese, da nove anni molleggia sui palchi di mezza Europa.  “Siamo in undici sul palco e quattro tecnici. Canto “Acqua e sale”, “Svalutation”, “24mila baci” e tante altre, in oltre due ore di spettacolo”. Nel 2017 ha realizzato 75 live tra Italia, Russia, Kazahistan, Moldavia, Bielorussia, Francia, Cipro e Israele. Lui canta e gli autori delle canzoni di Celentano incassano i diritti: lo stesso Adriano, e poi Mogol, Gianni Bella, Paolo Conte e tanti altri. Un indotto di tutto rispetto nell’economia musicale.

Qual è il valore esatto complessivo generato dalle circa diecimila “cover” e “tribute band” presenti nel nostro territorio? Un aiuto lo fornisce il rendiconto di gestione della Siae. Nel 2016, gli incassi relativi all’utilizzazione dei repertori musicali hanno registrato un incremento di circa 5,2 milioni di euro (+1,2% sul 2015), da 439,9 milioni del 2015 a 445,2 milioni di euro dell’anno successivo. In particolare, balli e concertini hanno incassato 120,2 milioni (+1,5%), più di concerti, riviste, varietà e bande. Una parte di questi proventi è arrivata proprio dai borderò dei concerti che hanno riprodotto gli emuli di Vasco Rossi, Ligabue, Negramaro e altri.
“Questo genere di eventi tiene in vita il catalogo musicale degli artisti, con una visibilità fondamentale in quelle località di provincia meno toccate dagli artisti più in voga – spiega Roberto Razzini, direttore editoriale di Warner Chappell Italia, una delle maggiori aziende mondiali del settore editoriale musicale -. Mi è capitato di sentire i Musical Box, che rifanno i Genesis del periodo con Peter Gabriel. Per chi ama le atmosfere prog dei primi anni Settanta, è un’occasione unica”. Canadesi, i Musical Box sono un fenomeno riconosciuto. Come i Brit Floyd, capaci di attirare folle in teatri e spazi aperti in tutto il mondo, grazie anche all’apporto di alcuni dei tecnici che hanno fatto la fortuna dei Pink Floyd negli spettacoli dal vivo. “Noi abbiamo scelto di suonare Eros Ramazzotti perché è uno dei pochi artisti italiani con visibilità internazionale – dice Marco Boniface, cantante dei Perfetto -. Siamo cinque musicisti, tutti diplomati in conservatorio, più una corista”.

In futuro, chi vorrà ascoltare le colonne sonore di questa era, dovrà entrare in una sala da concerto. Esattamente come avviene oggi per Mozart, Beethoven e gli altri geni musicali nei secoli. “La musica dal vivo produce un giro economico importante – dichiara l’autore e produttore storico milanese Mario Lavezzi, che siede anche nel Consiglio di sorveglianza Siae -. Anche il piano bar, a torto poco considerato, genera effetti positivi sugli autori”. D’altronde, la semestrale della Federazione industria musicale italiana sul mercato discografico, pubblicata a settembre, non invoglia all’ottimismo: “Il segmento fisico è sceso del 17% – si legge – mentre il digitale ha registrato una performance stabile, seppure influenzata negativamente dal continuo declino del segmento download (- 10%)”. Cresce lo streaming, ma non è una formula che porta grandi incassi a chi crea musica e parole. Meglio i live e il loro effetto moltiplicatore. I diritti patrimoniali autoriali valgono per tutta la durata della vita del titolare, fino a 70 anni dopo la sua morte.


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