Intitoliamo ad Albino Longhi una sezione del Premio Morrione

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Erano gli anni della legge Mammì, dell’assalto di Berlusconi a Repubblica e alla Mondadori, del Caf trionfante, dalle iniziali di Craxi, Andreotti, Forlani, il servizio pubblico stata attraversando uno dei suoi periodi più bui. Qualche tempo prima Tina Anselmi, una parlamentare veneta, determinata e coraggiosa, aveva scoperchiato il verminaio della loggia P2 e aveva svelato le trame per colpire la Costituzione, imbavagliare la libertà di informazione, distruggere i sindacati, aprire la strada ad una “Telecrazia” fondata sul conflitto di interessi.

Il Sindacato dei giornalisti era sottoposto a fortissime tensioni e così, insieme a Barbara Scaramucci, a Roberto Morrione, a Ennio Remondino, a Lucio Orazi, a Ennio Chiodi e a Giorgio Balzoni, decidemmo di chiedergli di candidarsi a capolista della nuova componente di Autonomia e solidarietà.
Quando lo andammo a trovare prima ci guardò perplesso, poi ci sbirciò con quel suo sguardo ironico e gentile, poi, senza tanti giri di parole, ci diede la sua disponibilità perché “Ci sono momenti nei quali bisogna partecipare senza chiedere nulla in cambio e mettere insieme chi ha nel cuore la Costituzione, i valori democratici e antifascisti, la libertà di informare e il diritto ad essere informati.”

Del resto Albino Longhi veniva dalle radici dei cattolici democratici, leggeva e amava le vite dei Don Milani e Don Mazzolari, era cresciuto nella stagione conciliare di Papa Giovanni, credeva nella possibilità di sperimentare il dialogo e il lavoro comune tra chi, pur avendo diverse radici politiche e religiose, si ritrovava nella casa comune della Costituzione e nel rispetto delle differenze e della dignità delle persone.
Da qui la sua grande amicizia, per fare un solo esempio, con Roberto Morrione e la decisione di essere colonna e punto di riferimento dell’iniziativa promossa dalla sua compagna Mara e dagli amici di Roberto, dedicata alla promozione del giornalismo d’inchiesta.

Allo stesso modo, negli anni del berlusconismo trionfante ed aggressivo, degli editti bulgari e della espulsione dalla Rai di Santoro e di Enzo Biagi, del quale era grande amico, lo abbiamo ritrovato accanto ad Articolo 21, dispensatore di consigli e di saggezza, moderato nel linguaggio, ma determinato nella difesa dei valori di sempre, mai tentato dal trasformismo o dal silenzio complice.

Parlava poco, ma le sue parole lasciavano il segno; era pronto a sbattere la porta quando la mediazione tra opportunità politica e rispetto della verità non era più possibile.
Persino in occasione della “Macelleria messicana” alla Diaz di Genova, dopo una lunga riflessione, decise di mandare un servizio di Bruno Luverà, con immagini inedite, che contribuì a far scoppiare l’indignazione e lo scandalo internazionale.
Qualche mese dopo fu costretto a lasciare, ma, per l’ennesima volta, aveva scelto di mandare in onda servizi e inchieste che, a suo giudizio, rappresentavano l’essenza di un servizio pubblico e degli stessi valori costituzionali, a cominciare da quelli racchiusi nell’articolo 21 della Costituzione, uno di quelli che amava spesso citare e ricordare.

Altri scriveranno dei tanti aspetti della sua vita, delle sue origini, dell’amore per la sua famiglia, delle esperienza a Trieste, a Palermo, a Verona, come direttore dell’Arena, quando la Rai non aveva più ritenuto di servirsi di un uomo libero e rigoroso e poi del ritorno e della sua terza direzione del TG1, ogni volta accolto con gioia e speranza da una redazione che, sia pure cambiata negli anni, ha sempre continuato a vedere in lui un direttore di “garanzia, nel senso più alto e vero della parola.

A noi spetterà il compito, se la famiglia lo vorrà, di trovare il modo di ricordarlo, magari aprendo una sezione speciale a lui dedicata dentro il premio Roberto Morrione, riunendo così nel ricordo e nell’amore per il giornalismo critico e di indagine.
Due uomini così diversi, ma così uniti dalla comune passione civile e dalla tensione verso un giornalismo capace di “dare la parola” agli ultimi e di “illuminare” le periferie troppo spesso occupate da mafie, malaffare e corruzione.
Hanno trascorso insieme una parte lunga delle loro vite, sarebbe bello ricordarli congiuntamente anche ora, usando la memoria per passare il testimone alle ragazze e ai ragazzi che hanno ancora le stesse passioni e gli stessi sogni che hanno segnato la vita di Albino Longhi e di Roberto Morrione.


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