Il premio intitolato a Maria Grazia è una fortissima emozione ma anche una responsabilità

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E’ fatta di quella lava scura che l’Etna rovescia su queste terre la tomba di Maria Grazia Cutuli nel piccolo cimitero di Santa Venerina. E la forza, la tenacia sono le prime cose a cui penso mentre osservo  la sua foto più celebre –  quella in cui, persa dietro chissà  quali pensieri , davanti ad un foglio d’appunti,  fissa l’obiettivo con uno sguardo che sa di ribellione e di sfida Ricevere , proprio qui  – nella sua terra –  il premio intitolato a Maria Grazia è non solo una fortissima emozione  ma anche una responsabilità , di cui avverto tutto il peso.  Un’idea questa  condivisa dai  due colleghi con i quali sono stata premiata ,  Teodoro Andreadis , per la stampa internazionale e Laura Bonasera, per i reporter siciliani emergenti:  il corrispondente che ha tenuto i riflettori accesi sulla crisi greca, dalla sue fasi più cupe fino ad oggi con i primi flebili segnali di speranza e contraddizioni, e la giovane collega  che , con grinta e coraggio, racconta periferie e zone d’ombra delle nostre città  e delle nostre coscienze.

La volontà  e il peso morale  di far sì che il Premio internazionale Cutuli non sia ridotto ad una vuota parata  dell’informazione, ma si confermi il segnale concreto di esistenza in vita di un modo di concepire e portare avanti il lavoro di giornalista, è il tratto che unisce  Francesco Faranda e Antonio Ferrari – le anime di questa iniziativa, capaci anche di   andare controcorrente pur di non disperdere questo patrimonio di idee ed esperienza maturato nel nome di Maria Grazia.  Quest’anno è Daiana Paoli, di Rainews 24, ad avere avuto il compito di  tenere insieme e imbastire  fili delle  manifestazioni – le lectio magistralis davanti agli studenti dell’università  di Catania , e la serata di premiazione immersa nel calore e nella partecipazione della comunità  di Santa Venerina. Un doppio appuntamento che si è snodato su più binari, quasi fossero i “quadri viventi” delle emergenze che più stanno lasciando il segno sulle nostre società : la violenza contro le donne, e le migrazioni , con le loro storie di umanità   dolente che scuotono  le nostre illusioni di quieto vivere e diventano  incandescente materia di dibattito politico.

Il cemento che anche quest’anno ha tenuto  tutto questo insieme ha lo stesso spessore, la stessa forza  che  muoveva Maria Grazia Cutuli:  un giornalismo che non cerca scorciatoie né mistificazioni,  quello dell'”andare a vedere”. Quello fondato sull’efficacia del racconto e della testimonianza diretta.  L’unico antidoto possibile  contro i tentativi di edulcorare o ammaestrare la realtà, come se il dovere della verifica e del confronto delle fonti fosse ormai una moda in disuso. e il giornalismo sul campo una malattia genetica da debellare.


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