Livorno. Errori ripetuti, appelli ignorati

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Far partire davvero il piano di 40 miliardi per la difesa del suolo senza dispersioni “elettorali” e sradicare l’abusivismo. Per il CENSIS, in montagna occasioni di lavoro per gli immigrati stranieri…

Quando l’alluvione colpisce una città, ormai si usa subito dar la colpa ad una “bomba d’acqua” dovuta al cambiamento di clima che si sta tropicalizzando. In parte è vero, ma è da un po’ di anni che la conosciamo e dovremmo essere corsi ai ripari. In un convegno dei Lincei (2003) sulla siccità si legge che con “l’effetto serra del terzo millennio potrebbe determinarsi un più marcato spostamento verso nord delle fasce climatiche; ciò favorirebbe l’instaurarsi di un clima di tipo <<Mediterraneo Monsonico>> con precipitazioni piovose concentrate”.

Purtroppo gli appelli che gli scienziati lanciano dopo questi loro convegni per una forte e pianificata difesa ideogeologica vengono puntualmente ignorati o sottovalutati. Purtroppo scontiamo errori molto gravi commessi negli ultimi cinquant’anni. Per esempio, la tombatura dei torrenti e dei canali nelle città marittime come appunto Livorno. Qui una intera famiglia è stata distrutta nel piano basso di una villetta neppure recente, di buona fattura, che però ha avuto il torto di sorgere accanto ad un canale a monte tombato, non dragato a dovere, cioè insabbiato alla foce. Carenza grave in una città di canali qual è Livorno. Mettiamoci poi la crescente impermeabilizzazione, cioè cemento+asfalto, dei suoli urbani che non consente all’acqua piovana, tanto meno alle “bombe d’acqua”, di filtrare. Col risultato che milioni di tonnellate di acqua piovana rimangono in superficie allagando le città. In specie sulle coste dove le cartine dell’Ispra mostrano che – con le poche eccezioni come laguna di Venezia, Delta del Po, Jonio e Maremma – cemento e asfalto hanno coperto il retrospiaggia per un buon 30 % di profondità.

E’ quello che avviene regolarmente a Milano col Seveso. O a Roma con l’aiuto delle caditoie dei tombini troppo piccole e in questa stagione, dopo tanta siccità, intasate dalle foglie dei platani e con l’insufficienza cronica della rete fognaria. Se sentite parlare di allagamenti diffusi all’Infernetto, all’Axa o a Ostia, dovete pensare che “il fato” non c’entra nulla. C’entra invece il fatto che interi quartieri sono sorti abusivamente senza servizi, quindi senza fognature, allacciandosi a quelle già esistenti. Le quali però erano previste per mille e non per diecimila case.

Poi si piangono i morti e i dispersi e si lamentano danni e devastazioni. Purtroppo i 7 morti di Livorno si aggiungono agli oltre 4.000 provocati, dal 1950 ad oggi, in Italia dalle alluvioni. Per i danni abbiamo cifre divergenti e ugualmente enormi. C’è chi parla di almeno 61,5 miliardi di euro dal 1944 al 2012 e chi, mettendoci anche i risarcimenti, aumenta non poco questa cifra. Sappiamo per certo che soltanto un 5 % dei bandi per le opere pubbliche riguarda la prevenzione. E che con un piano pluriennale di 40 miliardi risolveremmo l’annoso problema risanando la montagna dove lo spopolamento si è fermato. “La montagna torna a vivere” (dice un libro di Mauro Varotto per Nuova Dimensione), ma i contadini invecchiano se non arrivano immigrati giovani. Come sottolinea un recente Rapporto Censis sulle Marche alte per la Fondazione Merloni. Da qualche anno è stata costituita a Palazzo Chigi l’Unità di missione contro il dissesto idrogeologico. Essa per ora lavora raspando soldi non spesi (dal 1998, 2,5 milioni di euro) e con qualcos’altro, in attesa di una grande piano nazionale operante per Autorità di Distretto secondo la direttiva UE da noi in ritardo. Autorità che ora hanno quali commissari i presidenti delle Regioni. Speriamo bene. Qui si passa da un’emergenza all’altra. Idrogeologica e sismica.

Il piano presentato dal ministro Graziano Del Rio per la prevenzione anti-sismica non ha per niente convinto i sismologi: diluisce troppo nello spazio e nel tempo gli interventi statali anziché concentrarli subito nelle aree “rosse” (dorsale appenninica, dallo Stretto alla Romagna, poi Prealpi friulane). Non commettiamo lo stesso errore (elettoralistico?) con la difesa del suolo, già tanto in ritardo.

Uscito il 12 settembre 2017 su Tirreno, Messaggero Veneto e altri giornali del gruppo Espresso.


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