“Nessuno dica: io non sapevo”. La presidente della Fondazione Luchetta di Trieste sui respingimenti e i campi-profughi lager

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Non fa giri di parole Daniela Schifani Corfini Luchetta, non va in cerca di eufemismi per addolcire tanta amarezza, non si arrende al politicamente corretto. In qualità di presidente della “Fondazione Luchetta Ota D’Angelo Hrovatin” Daniela protesta con forza contro quello che senza troppe ipocrisie potremmo definire il reato d’umanità. Richiamando le parole che Primo Levi pone come incipit di “Se questo è un uomo” («Voi che vivete sicuri nelle vostre tiepide case, voi che trovate tornando a sera il cibo caldo e visi amici..»), Luchetta afferma: «Trovo vergognoso che l’unico sistema ritenuto accettabile per fronteggiare l’immigrazione sia quello dei respingimenti e dei campi profughi-lager. Esattamente come 70 anni fa la società attuale si merita fino in fondo la maledizione che chiudeva quella terribile poesia, con l’aggravante che nessuno, un domani, potrà giustificarsi sostenendo di non avere capito, perché oggi tutti sappiamo tutto».

La Fondazione (http://fondazioneluchetta.eu) che Daniela Luchetta rappresenta è una realtà che da quando è nata — nel 1994, anno dell’uccisione a Mostar dei tre inviati della Rai Marco Luchetta, Alessandro Ota e Dario D’Angelo, cui si è aggiunto meno di tre mesi dopo l’assassinio a Mogadiscio di Miran Hrovatin — ha accolto oltre 700 bambini provenienti da Paesi in guerra: nel 2013 ha dato vita al Premio giornalistico internazionale Marco Luchetta per continuare nel lavoro iniziato dai giornalisti cui è intitolata di accendere i riflettori sulle vittime più indifese e che quest’anno in occasione della serata finale dell’edizione 2017 ha premiato il progetto dei corridoi umanitari “Mediterranean hope” (http://www.mediterraneanhope.com/corridoi-umanitari-0), realizzato dalla Comunità di Sant’Egidio con la Federazione delle Chiese Evangeliche e la Tavola Valdese.

Un progetto che garantisce alle persone che fuggono dalla persecuzione e dalla violenza e che vengono selezionate in base al criterio della vulnerabilità (donne, bambini, disabili, malati) la possibilità di arrivare in Europa attraverso canali sicuri, senza rischiare di morire nei viaggi della disperazione (solo nel 2016 sono stati oltre 5000 i morti in mare) e al sicuro dalle organizzazioni criminali. Un progetto totalmente autofinanziato, che non pesa in alcun modo sullo Stato, e che ha già portato in Italia più di 800 persone, prevalentemente siriani, ospitati da parrocchie, famiglie, comunità, associazioni. Un progetto esteso anche alla Francia, nuova sede di sbarco dal Libano, a dimostrazione che si tratta di un modello replicabile in tutti i Paesi dell’Area Schengen. Un progetto che ha già avuto l’apprezzamento di papa Francesco e del presidente Mattarella. Un progetto che proprio perché propone il superamento dei muri e la costruzione di ponti ha ricevuto il Premio Speciale Luchetta. Perché — come ha detto la Presidente in occasione dell’annuncio alla stampa — «premia un sogno che può e deve diventare realtà». E al quale forse in questi giorni dovremmo dedicare maggiore attenzione. Sempre che salvare vite umane c’interessi davvero.


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