Precipita la crisi in Repubblica Centrafricana nell’indifferenza del mondo. L’appello di Msf

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Nel silenzio e nell’indifferenza del mondo si sta spegnendo la speranza che la Repubblica centrafricana possa uscire dalla spirale di violenze del conflitto tra Seleka e anti Balaka. Dopo una breve tregua seguita all’elezione del primo presidente scelto democraticamente dalla gente, Faustin-Archange Touaderà, gli scontri sono ripresi più cruenti che mai.
A pesare sulla  crisi è soprattutto il parziale fallimento  della conferenza per il Centrafrica dello scorso recanno.
In quell’occasione la comunità internazionale aveva assunto l’impegno a sostenere il processo di stabilizzazione del Paese.
Donatori e istituzioni a Bruxelles avevano promesso di finanziare con 2.2 miliardi di dollari, in tre anni, il Piano per la ricostruzione e il consolidamento della pace in Africa Centrale. Ma a sette mesi dall’avvio del progetto solo alcuni dei fondi promessi sono stati stanziati, l’11% dei bisogni individuati dall’Humanitarian Response Plan per il 2017.
A denunciare l’aggravarsi della situazione, le organizzazioni non governative sul terreno che si appellano alla comunità internazionale affinché si scongiuri il ripetersi delle guerre civili del passato che sfociano in indicibili massacri.
In prima linea a chiedere il rafforzamento della mobilitazione per la Repubblica Centrafricana, al fine di poter rispondere alle esigenze della popolazione stremata dalle violenze e dalla carestia che ha investito tutta la regione, Medici senza frontiere che da settimane sta prestando assistenza ai civili coinvolti negli scontri che si susseguono nei dintorni di Bambari, seconda città del Centrafrica e fulcro commerciale del paese.
Msf ha manifestato più volte il timore che le violenze, scoppiate a maggio a Bangassou e Bria, possano diffondersi riportando la popolazione al terrore del 2013-2014.

“La situazione a Bambari dopo mesi di tranquillità caratterizzati da un clima pacificato tra i diversi gruppi etnici e religiosi, tanto che la missione MINUSCA delle Nazioni Unite l’aveva definita “città senza armi”  – racconta le équipe sul posto di Medici Senza Frontiere – l’8 maggio un massacro avvenuto ad Alindao, a 120 km di distanza, dove 133 persone sono state uccise e interi quartieri sono stati dati alle fiamme, ha causato una fuga della popolazione verso Bambari. Si teme che le violenze possano raggiungere la città”.
La maggior parte degli sfollati vive in insediamenti improvvisati senza acqua corrente, elettricità o servizi di base e per le cure mediche dipendono dall’ospedale della città, supportato da MSF insieme a due centri sanitari, uno nella parte musulmana, l’altro nella parte cristiana della città.
Con l’afflusso di nuovi sfollati, le équipe di MSF stanno aumentando anche i pazienti bisognosi di cure.
“Nel centro medico di Elevage – raccontano gli operatori di MSF – effettuiamo 120 consultazioni ogni mattina. Sono aumentati i casi di diarrea e malaria, ma anche di malnutrizione acuta, passati dai 3 casi 1di gennaio ai 17 di maggio, mentre i pazienti con malnutrizione moderata sono aumentati da 36 a 126”.
E la situazione è destinata a peggiorare.
Le violenze, riprese dopo settimane di tensioni tra le milizie musulmane ex Seleka e i cristiani  qanti Balaka hanno provocato anche la morte di sei caschi blu.
La tregua raggiunta solo grazie all’intervento di un mediatore religioso, il cardinale Dieudonne’ Nzapalainga, appare fragile. Ed è per questo che Msf e le altre ong che continuano a operare nel Paese chiedono che vengano stanziati subito tutti i fondi del Rebuilding and Consolidation Peace approvato a novembre a Bruxelles. Con la speranza che sia un primo passo verso la stabilizzazione di un processo democratico che stenta a proseguire dopo l’iniziale slancio favorito da Papa Francesco, che aveva scelto Bangui, capitale della Repubblica Centrafricana, per l’apertura della Porta santa del Giubileo.


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