Carlo Casalegno e il coraggio delle idee

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È stato giusto, meritorio e significativo celebrare la Giornata mondiale per la libertà d’informazione rendendo omaggio ad un galantuomo come Carlo Casalegno, vice-direttore della Stampa, caduto per mano del terrorismo brigatista esattamente quarant’anni fa. Era il 16 novembre 1977, quarant’anni fa, quando un commando composto da quattro militanti delle BR decise di dar seguito al proposito criminale dell’organizzazione di alzare il tiro contro i giornalisti, colpendolo con quattro colpi di pistola al volto mentre rincasava e lasciandolo a terra agonizzante, per poi spegnersi, tredici giorni dopo, fra atroci sofferenze.
Casalegno, classe 1916, aveva fatto la Resistenza: era un partigiano liberale che quegli ideali di giustizia, libertà, uguaglianza e rispetto per gli altri se l’era portati dietro per tutta la vita, al punto che contro i brigatisti e la loro violenza folle, barbara ed insensata non emetteva una condanna pregiudiziale ma, al contrario, li accusava di stare tradendo proprio quei valori resistenziali cui pure spesso alludevano, sentendosi impropriamente eredi dei partigiani e delle loro battaglie.

Casalegno era ben cosciente del fatto che lo spirito partigiano risiedesse, all’opposto, nell’esempio dell’avvocato Fulvio Croce, presidente dell’Ordine degli avvocati di Torino nonché persona straordinaria che difendeva i partigiani nella Torino del ’44, sfidando l’orrore, l’infamia e le continue rappresaglie di due ideologie assassine ormai prossime alla capitolazione.
Non poteva accettare, dunque, l’assassinio di un personaggio del genere, reo agli occhi dei brigatisti di aver deciso di difenderli in un processo, smontando così la loro aberrante pretesa di essere considerati alla stregua di prigionieri politici anziché per i semplici delinquenti che erano.
Non poteva accettare quel clima esasperato, feroce, devastante, in cui era a rischio la tenuta stessa della democrazia, in cui non c’era manifestazione che non terminasse nel sangue, in cui erano caduti troppi giovani, sia sul versante dei manifestanti che su quello delle forze dell’ordine, in cui l’odio era arrivato al diapason e con esso la follia, fra mani alzate per mostrare il simbolo della P38 e fischi e aggressioni nei confronti di chiunque osasse dissentire dalla deriva estremista e antidemocratica delle frange più facinorose di un movimentismo ormai privo di ogni spinta propulsiva.
Casalegno è stato una delle tante vittime di un anno maledetto, di quel ’77 dopo il quale nulla è stato più come prima e tutto è peggiorato: nella politica, nella cultura e in qualunque altro ambito del nostro Paese.

Un addio doloroso, straziante, silenzioso, il suo; l’addio di un figlio, Andrea, che all’epoca per giunta era un militante di Lotta Continua; un addio che chiuse un’epoca e che rende tuttora assai bene l’idea della sua tragicità.
Ricordarlo, rendergli omaggio e dedicargli quest’importantissima giornata è il miglior modo per gridare: mai più. E per ribadire che ovunque ci sia un giornalista minacciato, lì ci deve essere la nostra solidarietà, il nostro sostegno e la nostra presenza: ne va della vita e del lavoro di migliaia di cronisti assai meno importanti e tutelati di quanto non lo fosse Casalegno ed è anche il miglior modo per onorarne la memoria e far sì che il suo sacrificio non sia stato vano.


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