Un’altra vittoria in giudizio per Marilù Mastrogiovanni perché quello che aveva scritto nelle sue inchieste era “tutto vero”

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Marilù Mastrogiovanni ha passato nove anni dietro la sbarra del processo penale che l’ha vista assolta in primo e secondo grado e 12 anni impegnata a difendersi nel giudizio civile intentato contro di lei dall’editore Paolo Pagliaro.

Anche la sentenza di primo grado del giudizio civile, dopo primo e secondo grado del penale, conferma ogni passaggio contestato.

Nell’inchiesta “Pagliaro, l’impero virtuale”, uscita su Il Tacco d’Italia, (da lei diretto e fondato, ndr), “io denunciavo – scrive la Mastrogiovanni – anche citando le fonti documentali, le gravi irregolarità e illiceità nonostante le quali le emittenti di Paolo Pagliaro, Telerama e RTS, andavano in onda e ricevevano diversi milioni di euro di finanziamenti pubbliciDimostravo fatti gravi in base ai quali le reti non avrebbero avuto diritto ai finanziamenti dello Stato.”

E prosegue: “Nell’inchiesta uscita nel 2005, ormai 12 anni or sono, denunciavo tra i tanti fatti rilevanti, la condizione di ricatto sotto il quale lavoravano colleghe e colleghi, in locali non a norma, non regolarmente retribuiti e inquadrati in base ai vigenti contratti nazionali di categoria. Non facevo mistero delle mie fonti, essendo tutte documentali. Nonostante questo l’editore mi ha querelato in sede civile e penale e mi ha querelato più volte, oltre ad inviarmi diverse lettera di diffida perché considerava il mio diritto di cronaca un atto persecutorio nei suoi confronti. Tutte le querele e integrazioni di querela sono state archiviate. Il rinvio a giudizio con ben 12 capi d’imputazione – prosegue la giornalista – chiesto dal pm Antonio De Donno, oggi procuratore aggiunto a Lecce, si è risolto con la mia piena assoluzione, ma son serviti 9 anni di processo penale e 12 di civile. E’necessaria una legge che argini le querele temerarie, perché vengono usate, ufficialmente, per esercitare un diritto, in realtà, come strumento di pressione verso il giornalista. Un tentativo per intimidirlo e porre un freno al suo lavoro. Sono stata difesa gratuitamente da due grandi avvocati e amici del foro di Brindisi, Roberto Fusco e Massimo Manfreda, che hanno scelto di difendere la libertà di stampa in quanto diritto fondamentale e costituzionalmente garantito”.

La sentenza a firma del giudice Antonino Ibrimonti ribadisce la bontà del lavoro giornalistico d’inchiesta di Mastrogiovanni: tutto vero e documentalmente provato. L’amarezza, anche come avvocato – dice Roberto Fusco – risiede nell’essere impotenti di fronte ai tempi estenuanti della giustizia. Questo per un giornalista significa essere oggettivamente sottoposto ad una spada di Damocle che mette in discussione la buona fede e l’autorevolezza del suo lavoro. Personalmente sono da sempre in prima fila quando si corre il rischio che vengano compromessi i diritti costituzionalmente garantiti di cittadine e cittadini, come quello di essere informati su fatti rilevanti per la creazione della pubblica opinione. Penso che il giornalismo d’inchiesta sia un bene comune da tutelare. La difesa dell’articolo 21 della Costituzione oggi più che mai richiede un impegno da parte di tutti, per questo ho voluto fare la mia parte”.

Le intimidazioni e le minacce anche da parte della criminalità organizzata subite da Marilù sono state censite e analizzate in questi anni da Ossigeno per l’Informazione, diretto da Alberto Spampinato. Mastrogiovanni è tra le prime firmatarie, con altre colleghe, dell’appello proposto da CPO FNSI perché il Parlamento approvi la proposta di legge sulle querele temerarie ed è impegnata con Giulia giornaliste in azioni di denuncia e sensibilizzazione per la rimozione di ogni discriminazione e violenza di genere, anche sui luoghi di lavoro.
Perché che cosa sono – dice Mastrogiovanni – le querele temerarie se non una forma di violenza camuffata dalla volontà di tutelare un proprio diritto”?


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