Ci potrà essere crescita dell’Italia senza il Sud?

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Venerdì 22 gennaio all’Aula Magna della Facoltà di Agraria di Palermo, dalle ore 9 alle 13.30, promosso dal Centro Pio La Torre e dalla Svimez, si terrà un confronto tra esperti, dirigenti sindacali, rappresentanti istituzionali e di governo e del mondo dell’istruzione (docenti, studenti medi e universitari) su un tema sensibile: c’è uno sviluppo nel futuro del Mezzogiorno? Ci potrà essere crescita dell’Italia senza il Sud? L’analisi è fornita dal recente rapporto Svimez, dall’Istat e da altri osservatori. Le proposte dei governi, regionale e nazionale, inserite nelle recenti leggi di stabilità sono una valida risposta? Cosa propongono le forze sociali per far fronte al divaricamento ulteriore tra Nord e Sud? Le previsioni unanimi dicono che abbiamo una lenta ripresa del Centro-Nord per il 2015, ma uno stallo del Mezzogiorno. Nel 2016 la ripresa dovrebbe essere agganciata anche dal Sud.

Dopo sette anni di recessione e crisi il Paese è più diviso e diseguale. Gli effetti nel Sud sono stati più gravi. Il deficit e il debito pubblico non sono scesi, la spesa pubblica cresce in valore assoluto nonostante le politiche di spending review annunciate nel tempo.

Nel 2014, secondo la Svimez, il divario Nord-Sud ha registrato un differenziale del 46,3%. Il Prodotto procapite nel Mezzogiorno (a prezzi correnti) è stato di 16.975 euro, mentre nel Centro-Nord di 31.586. Le attività economiche nel Sud dal 2011 sono drasticamente diminuite essendo diventate non più concorrenziali.

Dal recente studio pubblicato dalla Res si ricavano i seguenti dati sullo stato delle Università italiane e meridionali in particolare dal 2014 al 2015: riduzione degli immatricolati (di ben 66.000), dei docenti (del 17%), del personale amministrativo e del fondo finanziamento ordinario. Il rapporto Res segnala inoltre i divari tra il mondo dell’istruzione universitaria italiana dalla media europea. L’obiettivo laureati al 2002 per l’Ue è il 40% dei giovani, quelli che l’Italia, attualmente al 23,9% si è dato prevede il 26/27%, però senza una programmazione degli investimenti per ridurre il divario qualitativo tra università del Nord e del Sud. Solo un aumento dei livelli di istruzione superiore della popolazione che accompagnano nuove politiche di ricerca, innovazione, trasferimento tecnologico, possono assicurare le forze per una ricrescita del Mezzogiorno che è garanzia di crescita di tutto il paese. La questione riguarda la classe dirigente del Paese. Se la povertà assoluta riguarda, ormai da tempo, una parte importante del Paese e, in modo più grave, del Mezzogiorno (in Sicilia ben duecentomila famiglie), se il rischio povertà riguarda quasi la maggioranza delle famiglie, il buon senso non dovrebbe suggerire di mettere all’ordine del giorno della politica le misure di contrasto? Il Governo e l’Assemblea regionale possono sprecare l’occasione che offre la presentazione alla Regione del ddl d’iniziativa popolare del Comitato “No Povertà”? Non apparirà come un disprezzo di “casta” verso il “popolo”? Così come per la corruzione, che riguarda tutto il paese ma con un danno doppio per il Mezzogiorno che subisce il prelievo parassitario delle mafie che poi investono al Nord, la classe dirigente dovrebbe mettere in atto un quadro strategico di misure di prevenzione politica, culturale, economica dei fenomeni corruttivi e non affidarsi solo alla repressione?

Sappiamo che non tutta la corruzione è mafia, ma che tutte le mafie prosperano nella corruzione intesa  qule connubio strutturale tra mafie, affari e potere politico. Il nostro obiettivo è di scuotere la classe dirigente della Sicilia e del Paese. I fenomeni segnalati costituiscono un pericolo serio per la democrazia e la convivenza civile. Lo si vede anche dagli orientamenti populistici e razzisti, che affiorano anche in Italia. L’immigrazione è un’occasione di accensione dello scontro sociale che si è aperto nel nostro paese di fronte al crescere della diseguaglianza aggravata dalla crisi più grave del dopoguerra. Il divario Nord/Sud si era ridotto durante il primo quindicennio dell’intervento della Cassa del Mezzogiorno, ma dal momento in cui, dopo il boom economico, la politica clientelare si è impossessata della gestione della Cassa, si è rallentata e poi cancellata ogni riduzione del divario Nord/Sud e si è avuto l’indebolimento dell’etica pubblica. Occorre una classe dirigente che abbia una lungimiranza strategica e una capacità di mobilitazione consapevole della società. Negare ruolo e peso ai corpi intermedi non va in questa direzione, ed è a scapito della democrazia, dello sviluppo moderno e del rafforzamento dell’etica pubblica.

*Presidente centro studi Pio La Torre


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