80 anni dalla Liberazione, verso il 25 aprile 2025

Per alimentare l’odio ecologico nei confronti del tele-capitalismo

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Carmine Castoro prosegue la sua battaglia contro la tv di massa. Le sue armi sono saggi che analizzano causticamente quella che considera la “tv del nulla” e invitano a boicottarla. L’ultimo, pubblicato con Mimesis nella collana “Il Caffè dei Filosofi”, s’intitola “Clinica della tv. I dieci virus del telecapitalismo. Filosofia della grande mutazione”.

Al pari dei lavori precedenti, anche questo libro si rivela, infatti, un vero e proprio manuale filosofico di auto-difesa da condizionamenti e patologie virali indotti dagli schermi, inclusi quelli della Rete, sempre più veicoli di “infezione” profonda di quello che l’autore chiama Tele-Capitalismo.
Una lucida ricerca, ben documentata, sui linguaggi del conformismo di massa, condotta attraverso l’esame di format, telefilm, trasmissioni, TG, spot pubblicitari, reality, cui vittima eccellente, spesso inconsapevole, è la nostra anima, specialmente quella dei bambini e dei giovani, target primario per il marketing e la pubblicità.
Una ricerca che, anche in questo caso, assume gradualmente i tratti di manifesto contro la schizofrenia della società dello spettacolo che rischia di trascinarci verso la fiction totale, verso un orizzonte di senso teleguidato, tele-promosso, tele-prodotto; per resistere a quella che l’autore definisce “casta di cartapesta” che detta le regole del “vivere” e del “capire”, secondo coordinate inattaccabili dal senso e dal dissenso.

Carmine Castore, autore televisivo di successo per Sky e Rai, riprende quindi il discorso iniziato con “Filosofia dell’osceno”, edito sempre da Mimesis nel 2013, provando ad alimentare un “odio ecologico” verso tutto quanto ci inquina, ci degrada e ci induce a dimenticare la nostra libera tragicità di esseri umani.
Nei suoi saggi, il giornalista – filosofo se la prende in particolare con alcuni personaggi rappresentativi del ciarpame del circo mediatico italiano. Per lui, infatti, personaggi come Maria De Filippi o Simona Ventura partecipano, assieme a chi li ha voluti creare, alle responsabilità per lo sfascio morale, il crollo di valori, l’arrivismo spietato, l’estetismo fine a sé stesso della nostra società (dello spettacolo).

Come racconta in quest’ultimo libro, per Castoro la Tele-Polis del terzo millennio è frutto di controllo e sincronizzazione di desideri e abitudini. I suoi format più popolari sono centri di raccolta e smistamento delle nostre identità, sempre più bisognose degli scintillii della televisione per consistere e sopravvivere di fronte all’anonimato dilagante; ci insegnano che diventare chef milionari è il top del momento, che è redditizio vendere cocaina, che immagine e consumi sono in ogni nodo dei comportamenti e del linguaggio, che i delitti sono come telenovelas sudamericane, che se si finge amore si diventa famosi, che gossip e sciocchezze valgono le prime pagine, che si esiste solo se ci si “mitraglia” di selfie, che la dissidenza e la diversità sono reperti giurassici o rischi che non possiamo correre.
L’unica via di salvezza è quella della presa di coscienza e, di conseguenza, dell’odio naturale, benefico e liberatorio che si deve cominciare a provare nei confronti dei format di successo del tele-capitalismo.


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