I giornalisti e quell’invito a tacere che arriva sempre in modo puntuale

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Caro Giancarlo qui è tutto a posto. La tua atroce morte, del tutto similare a quella di Cosimo, Mauro, Giovanni, Peppino, Mario, Giuseppe, Mauro, Beppe, le minacce a Lirio , Giovanni, Sandro, hanno così colpito i nostri politici che da circa 25 anni tentano di dare ai giornalisti una mano d’aiuto, introducendo il “bavaglio”. In effetti per non essere ammazzati, minacciati, querelati , l’unica soluzione da praticare è questa, non raccontare più, meglio fare il copia e incolla dei comunicati dove si racconta una faccia delle cose che accadono ogni giorno. E così avremo salva la vita e avremo salvaguardato il nostro portafoglio ed i pochi spiccioli di euro con i quali la maggioranza dei cronisti italiani vengono ricompensati. Bisogna dire che quella dei nostri politici è una bella pensata. Che mi dici Giancarlo? Ti appaio ironico, sarcastico? Ti dico la verità, mi sento molto disilluso. Disilluso di tante cose, di molti comportamenti, ma ti assicuro non è mia intenzione far un passo indietro nel mio modesto lavoro di cronista, cronista di periferia, di quella periferia sulla quale i riflettori vengono accesi a intermittenza, destinati sempre ad essere spenti. Le mafie sono ogni giorno davanti a noi, e però la regola è quella di far finta di non vederle.

Pensa caro Giancarlo, qui, in periferia, leggere i passaggi di una sentenza suscita reazioni da lesa maestà. Ma come ci battiamo il petto, facciamo grandi slanci di parole nel giorno dedicato al ricordo di Paolo Borsellino, e poi quando c’è da mettere in pratica una delle sue più importanti lezioni – la giustizia può non avere le prove per condannare ma le sentenze possono contenere elementi che dovrebbero suscitare le condanne etiche e morali – ecco che dopo avere pubblicamente fatto un ripasso sulle malefatte, rimaste non punite, di un politico, puntualmente ti arriva, messa nero su bianco, con tanto di firma in calce, l’affermazione che avresti fatto meglio a tacere…t a c e r e! Non lo sto a raccontare a Te che alla fine l’invito a tacere si è trasformato nell’atto più atroce e crudele, togliendoTi la vita, quante volte hai sentito quella parola? Anche da tuoi colleghi. Ancora oggi accade questo, capita di sentirti dire che scrivere di una indagine, di un processo significa fare il “portavoce” di un magistrato, di un  poliziotto, di un carabiniere. Non siamo più in tempo di stragi, la mafia non uccide più, e quindi…scrivere delle mafie non è più cosa che interessa, non è più la notizia.

Come tanti corvi sono fermi a guardare in attesa che la mattanza riprenda. Credimi caro Giancarlo, qui è tutto a posto, non si deve dire niente e la miglior parola è quella che non si dice. Matteo Messina Denaro non è il primo dei problemi e di mafia a scuola non bisogna parlarne, parole di sindaci. Dare del “pezzo di merda” ad un mafioso ti fa finire sotto processo, per averne offeso la reputazione, chiedi a Peppino cosa ne pensa Lui che disse proprio che la mafia è una montagna di merda! Le mafie non esistono più? E allora ci si spieghi a noi, per la verità non siamo tanti, che non la pensiamo in questo modo come mai ogni giorno c’è un sequestro o una confisca di beni, come mai alcuni di noi sono costretti a vivere sotto scorta. Caro Giancarlo , Tu come Cosimo, Mauro, Giovanni, Peppino, Mario, Giuseppe, Mauro, Beppe, siete morti perché noi non siamo stati abbastanza vivi, Lirio, Giovanni, Sandro sono minacciati perché hanno infranto una regola precisa, quella di far capire che oggi viviamo in un mondo sbagliato, in una realtà di sopravvissuti, dove il mondo di mezzo ha preso il sopravvento. Ciao Giancarlo.


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