Jm Lopez, fotografo, sparito in Siria. Iacomini (Unicef), “torna presto. Ho una domanda retorica da porti”

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In Siria si muore. In Siria si sparisce. JM Lopez è un ragazzone altissimo che, un po’ per mia timidezza un po’ per timore di ascoltare l’ennesima testimonianza sull’inferno in Siria, non sono riuscito ad avvicinare nei giorni del Premio Luchetta e che, insieme alla giuria composta tra gli altri dall’amico Beppe Giulietti, abbiamo deciso di premiare quest’anno a Trieste per una bellissima foto di bambini intenti nel gioco a Mogadiscio. Ha vinto anche il Premio Photo of The Year della mia organizzazione, l’UNICEF. Un gigante, in tutti i sensi. Non abbiamo più notizie di lui da giorni cui sommiamo anche le oramai troppe albe e tramonti che ci dividono da Padre Paolo Dall’Oglio, uomo di pace e parola, anche lui scomparso nell’inferno siriano.

La Siria. La guerra è entrata nel suo quinto anno. Cinque anni di silenzi, rapimenti, confusione. Tanta troppa. Non voglio citare gli eroi che hanno perso la vita nel tentativo di raccontare il calvario umano di un popolo colpito da una vicenda la cui portata oramai ha acquisito le forme di tragedia mondiale del nostro decennio, mondiale, ripeto, non regionale come qualcuno la ostina a definire per lavarsi la coscienza. 4 milioni sono diventati i profughi in questi giorni. La metà sono bimbi. Quasi il doppio le persone colpite dal conflitto e basta, non voglio mettermi anche io qui a citare il numero dei morti. Li piangeremo al solito in ritardo. Preferisco raccontarvi, come farebbe JM Lopez attraverso le sue immagini, le storie di vita di migliaia di bimbi scampati alle bombe che sorridono felici nelle “scuole tendopoli” dei campi di Azraq e Zaatari, il gesto di vittoria fatto con le dita minute verso i nostri iphone quando provi ad immortalarli, segno inconfutabile di chi si sente salvo, in un luogo sicuro, lontano dalle bombe barile nei paesi al confine con la Siria. “Alive and Kicking” come recitava una canzone dei Simple Minds degli anni 80. O semplicemente bambini felici ovunque. E non importa se non hanno più una gamba, un braccio, un padre, una madre, ogni bimbo incontrato laggiù è lì a testimoniare che la vita continua, che la generazione perduta, come la definiamo da anni, resiste alle atrocità del regime, di Isis, di Al Nustra e compagnia bella e ci fa “specchio riflesso” delle nostre frustrazioni geopolitiche.

Domani sarò alla FNSI per aderire all’iniziativa di alcune persone illuminate di intitolare un’associazione a “Padre Paolo Dall’Oglio”. Non sarà un atto in memoria, sia chiaro, ma un gesto semplice e spontaneo di chi non si piega ad alcuna logica di divisione religiosa, etnica politica ma vuole lavorare per la pace, proprio come dice lui, il Profeta Paolo, che io non ho conosciuto se non attraverso il suo lavoro.

La pace è un concetto in sé semplice, ma se ne parla poco. La dovremmo spiegare meglio a scuola (la buona scuola giusto?) e ai nostri figli quando in tv ascoltano chi gli ripete “a manetta” come si dice a Roma, che bisogna cacciare intere popolazioni che sbarcano sulle nostre coste (In Libano i siriani sono arrivati ad 1 milione, idem in Giordania, e in Italia? aiuto!) Queste invece sono famiglie che vanno certamente aiutate a casa loro, è logico, ma solo nel caso in cui i Governi si impegnano per portare in quei luoghi la pace, altrimenti è nostro dovere accoglierli. Accoglierli come quando alcuni paesi confinanti con noi oppure Oltreoceano hanno accolto i nostri avi in fuga dalle guerre mondiali dopo le quali (pensate un po’) siamo nati noi, noi che viviamo in pace, che stringiamo tra le braccia i nostri figli che hanno gambe e braccia sbucciate dal gioco estivo e dalle partite a pallone nei centri estivi, non tranciate dai barili bomba, ne segnate dalle ferite di violenze inaudite, anche sessuali. Noi che nuotiamo in acqua godendoci le meritate vacanze mentre una bimba innocente muore adagiata nelle acque rosse di sangue del Mare Nostrum dal suo povero e disperato papà perché alcuni farabutti le hanno buttato lo zainetto con l’insulina in acqua. Non c’è reality umanitario che tenga, neppure quello trendy australiano che per fare “tv verità” porta a passare i partecipanti qualche giorno tra le forche caudine dell’Isis, Resort del terrore altro che “Temptation Island”. Io a questo voyerismo contemporaneo preferisco i reportage di giornalisti ed eroi italiani spagnoli francesi americani tedeschi che raccontano rischiando la loro vita per noi (e mentre lo scrivo mi vergogno) cosa accade da 5 anni in una terra come quella siriana dove non si ferma una guerra che ha ucciso migliaia di persone, la gran parte musulmani oppure le foto del gigante JM Lopez, che, giuro, aspetto con ansia qui in Italia. Tornerà, come spero torni Padre Paolo. E questa volta senza timidezza gli domanderò “Quando finirà tutto questo scempio, laggiù, in Siria”? ”? Conosco già la risposta.


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