C’è una morbosità pericolosa ma le denunce sono sbagliate

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No, non è la strada giusta. Sbaglia il presidente dell’Ordine nel denunciare Barbara D’Urso alla magistratura. Il problema c’è e lui fa bene a sollevarlo, ma non si risolve con le denunce penali e con i divieti. Solo i giornalisti possono fare interviste? Mi pare una affermazione rischiosa. Dove sta la differenza fra domanda e intervista? E’ pensabile proibire ad un intrattenitore televisivo – anche ad una soubrette, come lui ha voluto definire la D’Urso – di porre interrogativi e questioni? Di parlare di un clamoroso processo? E magari di piangere in diretta davanti a una telecamera, durante il racconto di un fatto di cronaca particolarmente toccante?

Non credo. A me non pare che si possano tracciare steccati “nominalistici” o lessicali fra un conduttore televisivo giornalista e uno che l’esame di stato non lo ha mai fatto. Giusto condannare quanto sta avvenendo, ma il tema non sono le interviste. Durante l’ultimo anno ci sono stati comportamenti scandalosi. Si è assistito al ripetersi di trasmissioni prive di notizie, messe in piedi con l’unico obbiettivo di sollecitare sensibilità eccessive. Anche molti giornalisti di punta hanno sbagliato nel creare “processi” televisivi che imitavano e precedevano quelli giudiziari, con la partecipazione – interessata e dunque sospetta – di magistrati, criminologi ed altri esperti. Tutte persone che hanno fatto a pezzi, ad esempio, la persona di Massimo Bossetti, in un crescendo di partigianeria ossessiva. Commentatori, con o senza alcun titolo, ai quali è stata rilasciata – da tutti i canali, indistintamente – la patente di valutare il comportamento di persone ancora a tutti gli effetti innocenti.

A mio avviso la televisione non può essere usata per giudicare o “giustiziare” le persone. Tocca ai giudici farlo e solo a loro. Noi, giornalisti, con la scusa del racconto, non abbiamo il diritto di massacrarle trasformandoci in falsi magistrati, con l’ausilio di plastici, indizi, psicologi ed ex ufficiali dei carabinieri. Il diritto di cronaca si giustifica (e dobbiamo difenderlo disperatamente) quando esistono notizie e fatti da raccontare ai cittadini. Non possiamo usarlo per soddisfare curiosità morbose sulla pelle di imputati, indagati e dei loro famigliari.

Mi auguro che gli Ordini intervengano quando i giornalisti travalicano i propri compiti. Lasciamo stare gli altri operatori, televisivi o meno. Sollecitiamo semmai anche da loro un’etica e chiediamo al servizio pubblico della Rai di non cadere nei misfatti delle tv commerciali. Le proibizioni non fanno bene neppure allo stesso Ordine, che non ha grande credibilità e che molti vorrebbero abolire. Ciascuno faccia il proprio mestiere, nel rispetto dell’articolo 21 della Costituzione.

Fonte: Giornalismo e Democrazia


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