Capaci e via d’Amelio. I misteri delle grandi stragi

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I processi in corso in Sicilia sulle due stragi principali, che hanno insanguinato l’Italia nel fatale biennio 1992-93 : quella di Capaci, alle porte di Palermo, per il giudice Falcone, Francesca Morvillo e la scorta, il 23 maggio 19 92, e quella di via d’Amelio il 19 luglio dello stesso anno,  per Paolo Borsellino e la sua scorta, stanno a poco a poco (e con gli ulteriori controlli e riscontri che dovranno esserci) stanno rivelando particolari importanti per la ricostruzione di quella terribile stagione delle stragi.  Tre calabresi “pentiti” o “collaboratori di giustizia”(nel linguaggio usato nelle carte giudiziarie) come  Consolato Villani, Paolo Iannò  e Giuseppe Lombardo, insistono sul la  presenza di due agenti dei servizi segreti (soltanto italiani o anche di altri paesi,  è un particolare importante ancora da accertare ma che è già emerso da archivi inglesi e americani che chi scrive  ebbe la possibilità  di consultare alcuni anni fa),uomo e una donna che avrebbero assunto un ruolo centrale e organizzativo nelle stragi di Capaci e di via d’Amelio.

Consolato Villani, con una carriera mafiosa di tutto rispetto (picciotto, camorrista, poi santista ‘ndranghetista) e quindi vangelista (il più alto grado  della cosca Lo Giudice ) racconta le confidenze ricevute dal cugino, capobastone Antonino Villani, nel 2002-2003: “Lui  mi parlò di ex esponenti delle forze dell’ordine, appartenenti a servizi dell’ordine, che un uomo sfregiato (una segnalazione già emersa in precedenza) insieme a una donna, avevano avuto nelle stragi di Falcone e di Borsellino. Nino mi disse che questi personaggi erano vicini alla cosca Laudani e a quella di Nitto Santapaola a Catania. L’uomo era coinvolto, a quanto pare, nell’omicidio di un poliziotto avvenuto in Sicilia. Villani sostiene quindi di aver visto Laudani e Santapaola in un incontro del 2007-2008 a cui doveva partecipare il capo Lo Giudice. “C’erano-ha detto- lui, il fratello Luciano Lo Giudice. L’uomo e la donna già descritti. Nino non mi ha detto niente ma ho dedotto che si trattasse degli stessi di cui mi parlava ma non seppe null’altro di quei soggetti.

“Lo Giudice-ha aggiunto il collaboratore di giustizia,” mi disse che la strage di Capaci era voluta da quei servizi segreti (ma quali siano è ancora non del tutto chiaro, anche se fonti inglesi hanno parlato- anni fa-  di servizi statunitensi  collaboranti con quelli italiani). “La strage di Capaci -ha aggiunto ancora-è stata decisa da quei servizi segreti e personaggi appartenenti agli apparati dello Stato. L’obiettivo era quello di dare un avvertimento allo Stato perché c’era, al suo interno, una corrente non favorevole a Cosa Nostra, e l’obbiettivo era quello di non far uscir fuori vicende di corruzione e collusione in cui era implicati  personalità della classe politica e dirigente del Paese. E la strage di via d’Amelio ha avuto la medesima motivazione.” Secondo Villani, tutti nelle cosche calabresi sapevano che l’esplosivo veniva da Saline Joniche, controllata dalla cosca  Iamonte, molto vicina a  Santapaola. La ndrangheta-ha riferito Villani citando il parere del capobastone Lo Giudice- non vo leva più esporsi dopo l’omicidio del magistrato Scopelliti. L’esplosivo era contenuto  nella nave Laura C., una nave affondata lì durante la seconda guerra mondiale. A sua volta, un altro collaborante, Paolo Iannò  racconta dei rapporti tra la ‘ndrangheta e Cosa Nostra in quegli anni (ora la situazione è cambiata per il primato acquisito dai calabresi):

“Vicino a Cosa Nostra erano i De Stefano e gli Iamonte, soprattutto con i Santapaola di Catania” ma i rapporti si limitavano a “fare traffici insieme”. Quando i siciliani chiesero aiuto ai calabresi per fare le stragi noi “abbiamo dato parere negativo. Noi non attacchiamo lo Stato. Ce li facciamo amici e quando non si può arrivare a un giudice lo infamiamo a mezzo stampa e lo facciamo trasferire. Infine,sul banco dei testimoni, è salito Giuseppe Lombardo ex braccio destro di Pasquale Condello (il grande capo) con cui “avevo un rapporto di fratellanza”.  “Venni a sapere-racconta Lombardo- dell’esplosivo ma escludo che i calabresi abbiano fornito  l’esplosivo ai siciliani.  ” Lombardo esclude anche rapporti con i servizi segreti ma questo dimostra, ancora una volta, che i collaboranti  non sono tutti sulla stessa linea.   Certo è che ormai sull’intervento di agenti italiani e stranieri nelle grandi stragi gli elementi probatori  ten dono a crescere e l’idea che, accanto alle associazioni mafiose, ci siano state logge massoniche e magari politici di peso producono sugli osservatori più attenti una sensazione tutt’altro che rassicurante.   E tutto questo avviene, mentre il presidente Napolitano sta per lasciare il suo ruolo e si corre il rischio di eleggere un successore sul quale è arduo immaginare che potrà avere con un governo percorso da contrasti interni nei maggiori partiti e incerto-a quanto pare-sulla possibilità di scadenze elettorali vicine. Un panorama, insomma, di spiacevoli  incertezze.


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