Dopo l’11 settembre, solo altre guerre contro l’Islam?

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Con il crollo delle Torri gemelle si è infranto anche il mito della coesistenza pacifica, della reciprocità tra “mondo occidentale”, laico, liberale, progressista, cristiano, e il “mondo mediorientale”, inteso come l’insieme dei paesi dove la religione islamica è preponderante e determina anche la legislazione vigente.
Mentre l’Occidente si avviluppa da allora in continue e disastrose crisi economiche, non riuscendo ormai a districarsi dall’intreccio perverso tra poteri forti, finanziari e lobbistici,effetti devastanti della fine del capitalismo liberista, e forze politiche senza più strategie; dall’altra parte del globo, nel Vicino Medio Oriente e negli stati dominati dalle élites musulmane, una sorta di nuovo Eldorado sta arricchendo i potentati, alleati mal mostosi degli occidentali, a partire dagli Stati Uniti d’America, oltre che finanziatori più o meno occulti dei vari gruppi jihadisti, in funzione proprio anti-occidentale.

Nonostante quanto si cerca di far credere attraverso la propaganda negazionista e neo-revisionista, la comunità ebraica non è più preponderante nel sistema economico-finanziario europeo. Nell’Unione Europea vivono 17 milioni di islamici (secondo i dati del Central Institut Islam Archive), a fronte di 1 milione e 200 mila ebrei. Gli investimenti nei titoli di stato, bond e obbligazioni pubbliche dei principali stati è per un terzo in mano ai Fondi sovrani arabi, un terzo a quelli cinesi e il resto alle banche europee, a quelle russe e dei paesi emergenti asiatici e sudamericani. La finanza araba è maggioritaria negli investimenti alla City di Londra, la principale Borsa affari del mondo in questo settore. Ma quello che più salta agli occhi nell’ampliamento della presenza islamica (soprattutto con capitali delle principali famiglie “reali” dell’Arabia Saudita, Qatar, Oman ed Emirati Arabi Uniti) è la diversificazione degli investimenti: nell’editoria classica e nella TV satellitare, nelle TLC (soprattutto la Telefonia mobile), nello sport di massa come il calcio e il ciclismo (tutti veicoli di grande “ritorno” nell’immaginario consumistico), nelle compagnie aeree e turistiche. E’ un’espansione che trova facile terreno e sono proprio i governi più conservatori che vanno “in pellegrinaggio” nelle capitali arabe a sollecitare investimenti.

L’Europa, che si aggroviglia nei tentacoli della crisi, scopre con colpevole ritardo che i giovani cresciuti nelle periferie e allevati alle università, ma espulsi dal ciclo produttivo e socio-culturale, si lasciano abbagliare dai miti rivoluzionari jihadisti. La tolleranza permissivista della cultura liberal-socialista (spesso “terzomondista” e pro-palestinese) che ha dominato dagli anni Sessanta in poi, anziché analizzare, comprendere, distinguere e farsi portatrice dei propri ideali, ha preferito sorvolare sulle enormi differenze tra le due civiltà, anzi ha favorito una “fittizia integrazione”, lasciando intatti usi e costumi delle comunità islamiche che occultavano in realtà i dettami della Sharia. E così l’Europa è diventata la “terra promessa” per le popolazioni arabe del Medio Oriente e dell’Africa musulmana, in cerca di fortuna.
In questo modo, inoltre, i cittadini islamici di ultima generazione si sentono sempre più “europei” e hanno perso quella aureola di “discriminati” che una volta li faceva sentire “cittadini di serie B”. Ma se, da una parte, acquistano piena cittadinanza europea (nei diritti politici e sociali, nell’uso strumentale del welfare-state, come i sussidi alla disoccupazione, che hanno costretto i governi di Belgio e Francia a rivederne i meccanismi in maniera più restrittiva per tutti); dall’altra, per evidenziare la loro diversità dai “costumi decadenti” occidentali, accrescono il loro integralismo religioso, cedendo anche ad alcune convinzioni xenofobe. Sono gli islamici maghrebini che abitano nelle periferie francesi, che usano gli stessi argomenti razzisti verso i nuovi migranti, sbarcati sulle spiagge del Mediterraneo, che se la prendono con i Rom, i neri cristiani e con le comunità ebraiche.

La capitale dell’Europa, Bruxelles, è la città più islamizzata dell’Unione Europea, con il 25% della popolazione (300 mila individui) che professa la religione di Maometto! E’ certo la punta dell’iceberg, ma secondo i più attenti analisti di flussi demografici e statistiche sulle comunità religiose, come l’autorevole e indipendente istituto Pew Research Center di Washington, si prevede che in Europa la popolazione musulmana aumenterà di un terzo entro il 2030, passando da 44,1 milioni di abitanti, il 6%, a 58,2 milioni, l’8%. Alcuni stati vedranno gli islamici raggiungere una percentuale a due cifre come il Belgio, la cui popolazione musulmana passerà dal 6% al 10,2%  e la Francia, che raggiungerà il 10,3%  contro il 7,5% di oggi. In Svezia i musulmani aumenteranno  a circa il 10% rispetto al 5% di oggi. In Gran Bretagna raggiungeranno l’8,2% della popolazione (il 4,6% oggi) e in Austria il 9,3% contro il 6%. Il paese che ospita il maggior numero di musulmani è la Francia (circa 5 milioni, la metà dei quali con cittadinanza francese), seguita dalla Germania (circa 3,5 milioni, di cui 2 milioni turchi) e dall’Inghilterra (2 milioni, quasi tutti di nazionalità britannica, originari del Pakistan, dell’India e del Medio Oriente). In Italia sono circa 1.505.000, secondo le stime del Dossier Statistico 2011 Caritas/Migrantes. Nell’area balcanica (dove l’islam è presente da 500 anni ) nei paesi che hanno chiesto di entrare nell’UE, vivono 8 milioni di musulmani: in Bosnia e Albania costituiscono la maggioranza, mentre in Macedonia e Bulgaria convivono con gli ortodossi. La Turchia, che attende da oltre un decennio di essere ammessa all’Unione, ha una popolazione di 75,6 milioni di abitanti musulmani.

In Francia, Danimarca, Olanda, Germania e Gran Bretagna, proprio nei quartieri a preponderanza islamica si sono avuti i maggiori consensi ai partiti xenofobi ed euroscettici: come il Front National di Marine Le Pen, la Lega Nord italiana, l’UKIP di Nigel Farage  in Gran Bretagna, gli svedesi di Sverigedemokraterna, i nazionalisti fiamminghi del Vlaams Belang o quelli olandesi del Partito della Libertà, gli ungheresi dello Jobbik.
Sarà capace questa Europa dalle leadership “euroscettiche”, dedite alla sudditanza finanziaria e commerciale con i paesi dell’Islam a fronteggiare il pericolo jihdaista, espresso con crudeltà mediatica via WEB dall’esercito fondamentalista dell’ISIS?
Saprà discernere e separare i musulmani laici da quelli invece affascinati dal “Grande Islam”, esigendo con autorevolezza la condanna pubblica delle stragi dell’11 Settembre, degli attentati che vi hanno fatto seguito a Londra e a Madrid, e delle atrocità compiute finora dai seguaci del “Califfato”. Finora si sono levate solo flebili voci dal mondo ingioiellato del Golfo Persico!

Non è con una “Terza guerra del Golfo” che si potrà risolvere questo nuovo “scontro tra civiltà”, ma con un viraggio di 360 gradi nella “coesistenza pacifica” col mondo arabo, chiedendo la reciprocità dei costumi, della libertà e tolleranza religiosa per i cristiani, della tutela e dell’ampliamento dei diritti delle donne, della laicità delle legislazioni nei loro stati, della condanna di ogni forma di fondamentalismo e della fine del “collateralismo e finanziamento occulto”. Altro tassello di questa “virata” in pieno Mediterraneo infiammato, da parte della nuova Lady PESC, l’italiana Mogherini, dovrebbe essere il caparbio tentativo di trovare una soluzione alla “questione israelo-palestinese”: riconoscimento reciproco dei due stati, disarmo delle milizie di Hamas e blocco degli insediamenti massivi nei territori occupati da Tel Aviv. L’Unione Europea dovrebbe, quindi, inserire nella sua agenda per l’allargamento l’ingresso simultaneo di Turchia e Israele.

Per quanto riguarda l’intervento armato “chirurgico” in Iraq contro l’ISIS, oltre a formare una coalizione ampia con l’Iran e gli altri stati del Golfo, è bene risolvere anche l’annosa “questione curda”, definendo i confini e la realtà giuridica di uno stato autonomo curdo, che necessariamente dovrà passare anche per l’accettazione da parte del governo di Ankara della riduzione dei propri confini.
La guerra, da sola, senza concessioni tra le parti e il riconoscimento di diritti secolari, non potrà risolvere nulla. Si vivacchierà male e con un terrorismo crescente, fino alla prossima “guerra guerreggiata a pezzetti”, come Papa Francesco ha ben stigmatizzato. Fino ad un prossimo 11 Settembre?


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