La forma della morte sul fondo del mare

0 0
I morti sono li sul fondo del mare dentro e fuori quel barcone naufragato il tre ottobre a poche centinaia di metri dalle coste di Lampedusa. Bisogna guardarli per capire scrive la Repubblica che sceglie di mettere on line quelle immagini per dare una forma alla morte che si ripete da vent’anni nel mediterraneo e che il 3 ottobre abbiamo visto per la prima volta.
Sospesi come in assenza di gravità i morti fluttuano in una dimensione che sospende anche quello che sono stati in vita: la speranza, l’amore, la ricerca della pace e di una vita senza violenza.
Immagini che il quotidiano depura perchè l’orrore è troppo grande per essere condiviso. Le immagini grezze di quelle operazioni di recupero delle salme mostrano i locali interni pieni di uomini e donne, uno attaccato all’altro. la corrente a 47 metri di profondità è debole e muove appena i capelli di una donna vicina al finestrino, che ondeggiano e si confondono con un’alga. Lei è affacciata all’oblò dal quale ha guardato il mare entrarle dentro, e ora guarda i suoi compagni che vengono delicatamente legati per i piedi e trascinati in superficie.
Ero a Lampedusa in quei giorni, quelle immagini le ho volute guardare per capire.
C’è un rumore che ho sentito in quei giorni, che ogni tanto mi ritorna in mente. E’ il suono delle spazzole che sfregano il molo Favaloro nella speranza di cancellare l’odore dolciastro della morte. Un suono continuo che si interrompe solo per consentire ad altri corpi di arrivare a terra.
Quei corpi li abbiamo visti quel giorno di ottobre e nei giorni successivi arrivare fino a riva sulla spiaggia dei conigli, contorcersi intorno alle rocce in modo plastico come fossero di gomma, mossi dalla corrente.
Li abbiamo visti chiusi nei sacchi e poi nelle bare allineate in una fila ordinata nell’hangar dell’aeroporto dell’isola.
Poi non ne abbiamo visti più, per mesi.
Le navi del dispositivo mare nostrum hanno impedito altri naufragi a lungo. Una portentosa operazione di salvataggio che l’Italia ha condotto e conduce da sola con lo sforzo di migliaia di marinai e l’enorme spesa di 200 mila euro al giorno. Aspettando un’aiuto che l’europa non ha ancora voluto concedere.
Poi la mattina di lunedì scorso una barca ha superato il filtro di mare nostrum e si è rovesciata 100 miglia a sud di lampedusa. abbiamo visto altri morti altri sacchi, altre bare bianche e ancora quell’odore dolciastro difficile da cancellare.
Le voci dei superstiti hanno ripetuto l’orrore che avevamo già sentito e hanno confermato ritardi nei soccorsi, non da parte delle navi italiane, ma da parte di quei rimorchiatori che erano sul posto e che avrebbero aspettato oltre un’ora prima di intervenire.
Rimasti fermi a guardare, nello stesso modo in cui il mondo per vent’anni ha guardato il mediterraneo e le barche cariche di migranti che finivano sul fondo del mare.
Dopo quell’ennesima tragedia, è spuntato un secondo barcone, identico a quello naufragato. gli uomini della Capitaneria di Porto lo hanno riconosciuto. Lo avevano intercettato appena 4 giorni prima carico di altri migranti. Lo avevano marchiato con una scritta: 8 maggio 2014, la data del soccorso.
I marinai della San Giorgio erano convinti di averlo affondato, come fanno sempre.
Invece era rimasto a galla e qualcuno è passato a riprenderselo. Per caricarlo di nuovo, per un altro viaggio.

Iscriviti alla Newsletter di Articolo21