Si può tacere davanti alla volgarità contenuta nel documento di “Liberiamo l’informazione”? Non si può e non si deve

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Riceviamo e pubblichiamo la lettera inviata ad Articolo21 dal presidente dell’Ordine dei Giornalisti Enzo Iacopino in risposta al documento di “Liberiamo Informazione” pubblicato nel blog “Voltapagina” (che linkiamo di seguito).   

L’insulto alla verità non è tanto nell’indicare in 158 il numero dei consiglieri nazionali. Quella è ignoranza, significativa ignoranza, certamente. I consiglieri sono 144 e non arrivano a 158 neanche aggiungendo i 12 membri del Consiglio nazionale di disciplina, organismo assolutamente autonomo, previsto da una recente legge dello Stato.
L’oltraggio alla verità è contenuto nella ricostruzione dell’accaduto.
E’ vero che il progetto di “Liberiamo l’informazione” (di tutta o di parte di essa: buona la seconda, direi) è stato respinto “in maniera netta”, con 74 voti contro 49. Settantaquattro voti sono la maggioranza assoluta dei componenti il Cnog, non una maggioranza qualsiasi. Negli organismi democratici vigono delle regole che sono diverse da quelle dell’Urss di Stalin o della Russia di Putin.
Ma la verità contenuta in quel documento finisce qui. Perché non c’era stata alcun “progetto di riforma faticosamente mediato all’interno della commissione insediata dallo stesso Cnog”. I sei colleghi non hanno fatto alcuna fatica, perché da uomini liberi avevano rapidamente formulato una proposta che non obbediva a calcoli finalizzati all’occupazione dell’Ordine.
Una proposta varata da loro alla unanimità.
Tre dei membri della commissione facevano riferimento, al momento della nomina, proprio a “Liberiamo l’informazione”. Tre su sei (Carlo Verna, Alberto Vitucci e Gianfranco Ricci), per volontà del sottoscritto e di una maggioranza che ha visto eletti 8 suoi membri su 9 in esecutivo. Tre su sei.
Ma “Liberiamo l’informazione”, il 7 gennaio (a due settimane dal Consiglio) ha fatto franare sopra questa proposta un suo progetto interamente alternativo. E lo ha fatto dopo essersi sottratta ad un incontro vanamente richiesto dalla commissione, come è stato detto durante il dibattito, senza che nessuno potesse smentirlo.
Già, in pubblico, non si possono raccontare quelle menzogne o toccare punte di volgarità abituali ad alcuni quando ritengono, sbagliando, che i colleghi da loro insultati non ne possano venire a conoscenza!
Strano modo, comunque, di intendere il confronto. Ancor più strano modo quello di considerare valida una proposta scaricandole addosso un progetto alternativo: ciascuno ha i parametri di coerenza che desidera.
Fidando sul fatto che fino ad oggi mi sono sottratto ad ogni pubblica risposta “Liberiamo l’informazione” lancia una campagna di disinformazione.
Decreta l’incapacità del Consiglio di “autoriformarsi” e denuncia che il Cnog “è tenuto numericamente in ostaggio da chi esercita la professione in modo occasionale o anche a tempo pieno, senza avere avuto alcun percorso formativo e superato alcun esame di idoneità”.
Insulta, in altre parole, quanti tra i pubblicisti non si sono schierati sulla sua posizione. Perché quei pubblicisti (e ce ne sono stati) che hanno votato con “Liberiamo l’informazione”, secondo una vecchia scuola politica, sono stati purificati per contaminazione dal loro sapere, formati dalle loro pacche sulle spalle, promossi con lode dal loro sorriso. No, la cerimonia del bacio in fronte, almeno in pubblico, non c’è stata.
Ma la volgarità maggiore non è questa. E’ l’annuncio di “dialogo diretto con le forze politiche e sociali”. Lo stesso dialogo che, nella passata legislatura ha prodotto la morte in Senato di una minima ipotesi di riforma che era stata approvata dalla Camera dei Deputati. Un dialogo clandestino e in violazione, allora, di un voto praticamente unanime (uno solo fu contrario) del Consiglio su una proposta di riforma. La prova che ci sono dei “democratici” che accettano le regole solo quando queste corrispondono ai loro progetti. O alle loro velleità: come quella di avere norme che assicurino loro di poter occupare anche l’Ordine dei giornalisti, tentativo miseramente fallito nelle tre ultime elezioni per il rinnovo dei vertici.
Riforme su misura, cioè, in uno squallido gioco di attribuzioni di ruoli di “buoni” e “cattivi” in base alla convenienza del momento.
“Liberiamo l’informazione” annuncia una “raccolta di firme presso tutti gli Ordini regionali e tutte le redazioni”. Questa è democrazia, non c’è dubbio, sana democrazia alla quale possono ricorrere tutti, interpellando i colleghi, anche quelli che sono fuori dalle redazioni per scelte e comportamenti di alcuni tra quanti si riconoscono in “Liberiamo l’informazione”, in particolare i professionisti dei multi-incarichi negli enti di categoria.
Quell’area “politica” (termine usato nello stesso senso contenuto nel documento) ha gestito per anni tutti gli organismi, preoccupandosi di tutelare un’élite di garantiti, mentre la giungla si faceva largo nel nostro mondo con decine di migliaia di colleghi sfruttati e senza tutele, fino a quando l’Ordine ha assunto l’iniziativa imponendo una diversa consapevolezza che ha portato alla Carta di Firenze e alla legge sull’equo compenso.
Un’iniziativa, quella dell’Odg, che venne osteggiata, all’inizio, e che anche recentemente si è tentato di vanificare con un’intesa con la Fieg (una proposta sostanzialmente congiunta che annullava la legge sull’equo compenso), con una manovra denunciata e bloccata solo dall’Ordine,
La raccolta di firme? Mi viene in mente la storiella dei pifferi di montagna: andarono per suonare e se ne tornarono suonati.

P.S.: Un particolare: l’ipotesi di riforma non è quella che avrei voluto, ma io ho il dovere di portare avanti quella proposta, approvata liberamente – a scrutinio segreto – dal Consiglio.


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