Le ricette di Papa Francesco

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Non è stato solo un grande discorso alla chiesa. Le parole pronunciate da Papa Francesco il 4 ottobre ad Assisi riguardano tutti, credenti o non credenti. E in particolare tutti coloro che cercano sinceramente la via di uscita dalla crisi che ci sta soffocando. Le indicazioni che emergono dall’incontro tra i due Francesco sono tanto concrete quanto impegnative. E per questo vale la pena di non sprecarle. Eccone alcune.

Primo. Abbiamo bisogno di cambiare. “Se vogliamo salvarci dal naufragio” abbiamo bisogno di cambiare molte cose. Tutti i discorsi di Assisi sono stati permeati di questa necessità impellente, che si fa sempre più pressante. Ma se pensiamo che siano altri a doverlo fare, se non ci disponiamo al cambiamento partendo da noi stessi, mettendo in gioco le nostre certezze e le nostre sicurezze, non ce la faremo. La possibilità di cambiare passa da noi e ciascuno deve essere capace di dire: comincio io!

Secondo. Dobbiamo riscoprire la nostra umanità. Il Papa lo ha chiesto persino alle suore di clausura, a coloro che hanno scelto una vita di isolamento dal mondo: “Diventate esperte in umanità!” Nulla è più importante della nostra umanità, della nostra capacità di “capire i problemi umani” e di trattare “gli altri” con umanità. Mi viene in mente l’insistente “Restiamo Umani” di Vittorio Arrigoni, la tragedia di Lampedusa e i fatti che tutti i giorni ci raccontano di comportamenti e politiche disumane. La strada del cambiamento comincia così: ricostruendo la nostra capacità di avere rispetto per ogni essere umano e per tutto quello che è stato creato.

Terzo. Liberiamoci della cultura dello “scarto” e apriamoci alla cultura dell’inclusione, dell’accoglienza, della condivisione. “Le vittime della cultura dello scarto sono le persone più deboli, più fragili, più svantaggiate, più in difficoltà. E’ da loro che occorre ripartire se vogliamo evitare di essere travolti dalla miseria, dalle disuguaglianze e dalle ingiustizie che dilagano. Servono azioni, opere, politiche concrete e persone disponibili a realizzarle. Non per buonismo ma per lungimiranza.

Quarto. Impariamo ad ascoltare. Le vittime della cultura dello scarto hanno bisogno di essere riconosciute e ascoltate. E non deve essere un ascolto occasionale, “un ascolto che dura uno, due, tre giorni come succede sui giornali”. Deve essere un ascolto autentico e perciò attento, rispettoso, continuo. L’ascolto di cui abbiamo bisogno è personale e politico, individuale e collettivo. Imparare ad ascoltare e non solo a dire, annunciare, proclamare. Imparare ad ascoltare gli altri per capire, intervenire, crescere insieme, liberi da quell’assurda riconcorsa dell’io e dei soldi che ci ha reso più soli e vulnerabili.

Quinto. La testimonianza viene prima delle parole. Non è il solito appello alla coerenza (alle parole devono seguire i fatti). E’ un diverso ordine di priorità. Prima i fatti. Poi, se servono, le parole. “Sapete che cosa ha detto Francesco una volta ai suoi fratelli? «Predicate sempre il Vangelo e se fosse necessario, anche con le parole!». E’ una questione di credibilità e di efficacia. La testimonianza rende credibili e consente di cambiare concretamente le cose. In un mondo segnato dalla sfiducia e della perdita di credibilità, questa lezione vale davvero per tutti. Per la chiesa come per la politica, per le nostre associazioni come per le istituzioni.

Sesto. Camminiamo insieme. “La cosa più importante è camminare insieme”, non da soli, non da isolati. “A volte davanti, a volte in mezzo e a volte dietro: davanti, per guidare la comunità; in mezzo, per incoraggiarla e sostenerla; dietro, per tenerla unita perché nessuno rimanga troppo, troppo indietro”. Papa Bergoglio ne parla come “dell’esperienza più bella” eppure nella società dell’arrivismo, del particolarismo e dell’individualismo sembra essere tanto rara. E il disastro si vede e si sente.

Settimo. Il nostro problema è la ricchezza non la povertà. Il Papa venuto da lontano la chiama mondanità, dice che è un pericolo gravissimo, che porta alla vanità, alla prepotenza e all’orgoglio, che fa male, che uccide, che è una minaccia con cui non si può convivere. Francesco, figlio di un ricco commerciante di Assisi, è diventato santo solo dopo essersi spogliato delle sue ricchezze. E oggi, il primo Papa che ha avuto il coraggio di prendere il suo nome, ci rinnova l’invito a scegliere: “Non si può servire a due padroni: o servi Dio o servi il denaro”. E’ l’invito a spogliarci di tutto quello che non è essenziale imparando l’arte della condivisione e della solidarietà. In un tempo di così grave crisi sociale, il discorso ha una grande valenza non solo morale ed etica ma anche politica ed economica. Cos’altro dobbiamo fare davanti ad un “mondo selvaggio, che non dà lavoro, che non aiuta; a cui non importa se ci sono bambini che muoiono di fame nel mondo; non importa se tante famiglie non hanno da mangiare, non hanno la dignità di portare pane a casa; non importa che tanta gente debba fuggire dalla schiavitù, dalla fame e fuggire cercando la libertà”?

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