Par condicio, cui prodest?

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Caro direttore, la televisione in questo periodo offre uno spettacolo inquietante. Fatta eccezione per i canali tematici in tv è campagna elettorale a reti unificate con le barbariche invasioni dei leader – Berlusconi e Monti in primis – che a tutte le ore imperversano in tv. Se questa situazione è frutto della legge sulla par condicio tanto vale cancellarla dal momento che i soggetti “minori” sembrano non aver alcun diritto di cittadinanza mediatica. O no?
Cordialmente, Silvio Gironi (Mi) 

Caro Silvio,
La legge sulla par condicio approvata nel 2000 non è immune da critiche: è di complessa attuazione, limita la libertà di chi fa televisione di lavorare in condizioni di indipendenza e serenità e restringe anche il pluralismo delle voci: un insegnante intervistato in un talk show non può criticare o esaltare lo stato della scuola perché ciò implicherebbe un giudizio politico sull’operato del governo.
Tuttavia la par condicio e cioè il principio della parità di trattamento in tv tra tutti i soggetti politici in campo fu una scelta indispensabile per riequilibrare un’informazione inquinata dal conflitto di interessi di un signore che approfittava della sua posizione dominante di proprietario di un impero mediatico per occupare più spazio degli altri.
Il conflitto di interessi ad oggi è tutt’altro che risolto e nonostante quel signore non sia più presidente del consiglio il suo partito, come confermano le più recenti rilevazioni Agcom, continua ad essere di gran lunga il primo partito con record di presenze su tutte le TV.
Ciò che tuttavia come Articolo21 ci preoccupa maggiormente non è solo lo spazio risicato (o nullo) concesso ai partiti o ai movimenti politici minori ma lo squilibrio dei temi: i soggetti sociali, gli argomenti di interesse collettivo vengono praticamente “sequestrati” dai candidati che sono gli unici a cui è concesso parlare. Per questo abbiamo rivolto un appello a tutte le forze politiche ad utilizzare eventuali tempi compensativi derivanti dalle invasioni berlusconiane (e montiane) degli schermi televisivi per temi e soggetti sociali oscurati. Perché i morti del conflitto siriano, o quelli sul lavoro, o le vittime del femminicidio non possono essere relegate in coda alle notizie di un tg.

Stefano Corradino


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