Messico, dove informare significa morire

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Quanto sta accadendo in Messico riguardo le uccisioni dei numerosi giornalisti e reporter lascia sgomenti e semina terrore. L’obiettivo dei mandanti delle esecuzioni, infatti, è quello di intimidire chiunque provi ad affrontarli. I narcotrafficanti hanno messo in atto una vera e propria guerra… nei confronti di chi osa raccontare e denunciare i loschi traffici delle varie bande spesso in lotta fra di loro per conquistare i territori dove estendere poi il proprio potere.

L’associazione svizzera “Press Embleme Campagne”, Ong non governativa, ha acceso i riflettori sulla gravità del fenomeno che sta dilaniando il paese latinoamericano pubblicando una classifica dei paesi più pericolosi al mondo per gli addetti all’informazione e fra questi il Messico detiene il primato. Al messaggio lanciato da Blaise Lempen, segretario generale dell’organizzazione, rivolto ai governi locali sulla fermezza che dovrebbero avere affinchè vengano impediti questo tipo di omicidi, si aggiungono altri attivisti. “Article19”, infatti, si occupa del monitoraggio sulla violenza ai giornalisti e lla difesa della libertà di stampa, anche l’Italia sta offrendo il suo contributo attraverso l’associazione “Libera” che è in contatto con “Red de periodistas de a pie”. Rupert Knox, ricercatore di “Amnesty International”, si è espresso riguardo l’ondata di attacchi contro i giornalisti sollecitando le autorità messicane a proteggere i professionisti impegnati a raccontare la verità di un paese, fulcro della criminalità organizzata nonché dello spaccio della droga.

Il vero problema che in realtà sta dilaniando il Messico è che a favorire questa mattanza è la strategia messa in atto per volere del presidente Felipe Caldèron che non intende abbassare la guardia ma risponde agli attacchi dei narcos con la stessa arma ottenendo però risultati decisamente disastrosi. Tuttavia se la richiesta avanzata dai cittadini di trovare una linea più diplomatica per risolvere il problema è stata ignorata, gli stessi hanno dimostrato di non lasciarsi sottomettere provvedendo a stilare un dossier di oltre 700 pagine in cui si documentano più di 470 casi di violazione dei diritti contro donne e minori mentre 23.000 firme contro il presidente Caldèron sono state presentate presso la Corte Penale dell’Aia che avrà il compito di valutare le accuse contro di lui per crimini contro l’umanità.

Il governo, che in questa spietata battaglia sta utilizzando l’esercito e le forze dell’ordine, ha dichiarato di ritenere legittimo assassinare i criminali rivelandosi incurante delle conseguenze che ricadono sui semplici cittadini, le vere vittime di una guerra sanguinosa che si prolunga ormai da 5 anni e ha mietuto più di 60.000 morti e 10.000 desaparecidos. Molti giornalisti, infatti, sono spariti da tempo mentre altri sono stati ritrovati sul ciglio della strada oppure mutilati o decapitati.

Regina Martinez era corrispondente della rivista politica “Proceso” ed è stata trovata morta nella sua abitazione a Veracruz, uno degli stati più colpiti dalla violenza dei narcotrafficanti. Raul Quirino Garza, 30 anni, scriveva per la testata “L’ultima parola” è stato assassinato da un commando armato a Cadereyta, area metropolitana di Monterrey. Maria Elizabeth Macias Castro, 37 anni, era caporedattrice del quotidiano “Primera Hora” e per i narcos era ritenuta una voce fastidiosa. La donna utilizzava il sito “Nuevo Laredo en vivo” dove invitava chiunque fosse stato intimorito dalla criminalità a reagire trovando il coraggio di parlare rivolgendosi allo sportello telematico che avrebbe provveduto ad aiutarlo.

L’utilizzo dei social network così come i blog impiegati per diffondere la verità sono ugualmente mal visti dai narcos che hanno provveduto a “punire” gli autori ( come è accaduto a due blogger che sono stati uccisi per aver diffuso un video su internet). All’elenco si aggiunge il nome di Marco Aurelio Avila Garcia, giornalista di cronaca nera, che dopo essere stato rapito a Ciudad Obregono, la città dove lavorava, è stato ritrovato privo di vita ai bordi della strada dello Stato di Sonora. A sud di Ciudad, invece, nel bagagliaio di un automobile è stato rinvenuto il cadavere di Renè Orta Salgrado, giornalista del quotidiano “El Sol”. La stessa tragica fine hanno avuto il fotoreporter Guillermo Luna Varela insieme alla fidanzata Irasema Becerra, segretaria amministrativa dello stesso quotidiano per il quale lavoravano entrambi. Con loro c’erano altri due fotografi specializzati nelle inchieste sui reati di polizia, si chiamavano Gabriel Huge e Esteban Rodriguez. 

L’unica soluzione sembra arrendersi altrimenti il prezzo da pagare è davvero molto alto. Il quotidiano “El Manara”, per esempio, ha deciso di non occuparsi più di criminalità organizzata dopo che la redazione è stata minacciata con una sventagliata di pallottole, tuttavia il resto della società civile non può restare indifferente dinanzi alla strage che si sta compiendo. Bisogna reagire e porre il problema al centro dell’attenzione delle autorità internazionali affinchè si prodighino per risolvere una piaga sociale. La nostra stampa libera deve contribuire ad aiutare chi  è costretto a tacere per paura di morire.


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