La scuola in Francia e in Italia

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Venerdì sera, per santificare il weekend, ho passato mezz’ora a rigirarmi fra le mani, tante volte fossi vittima di un’allucinazione o sortilegio, il numero di Le Monde che appunto quel giorno, a una settimana dal primo turno per l’Eliseo, si apriva con un titolo inaudito (non udito, almeno in Italia): Education, l’Etat favorise les plus privilégiès. Il giornale anticipava i contenuti di un documento della Corte dei conti sulle ineguaglianze del sistema scolastico francese, e le conseguenze per ragazzi, famiglie, imprese, nazione, già intraviste dall’Ocde, dal Consiglio dell’economia e del lavoro, dall’Alto consiglio dell’educazione. Seguiva un editoriale del direttore su quattro colonne,  col titolo inappellabile: Notre éducation n’est pas national. Si denunciavano, come rintocchi di campana a martello per Mesadames et messieurs les candidat(e)s a l’élection presidentielle: scuola divenuta mediocre e per certi aspetti “disperante”; 150 mila giovani ogni anno fuori dal sistema senza qualificazione, in una “indifferenza catastrofica”; ritardi spesso “irrimediabili” creati nei ragazzi dalla scuola primaria; soppressione negli ultimi cinque anni di 70 mila cattedre, un  “malthusianesimo” di cui gli insegnanti non avevano bisogno; aggravamento anziché correzione delle ineguaglianze fra gli alunni. Dov’è finita la Repubblica laica, tra destra e crisi?

L’indomani, sabato, mentre  contemplavo con impotenza tutti i vetri in frantumi dell’automobile di una  coinquilina, professoressa di italiano al liceo di Civitavecchia (l’ inconscia zagaglia barbara di Carducci, brandita da studenti o parenti offesi da richiami o voti bassi), la radiolina che porto in tasca comunicava la tristissima notizia  del giovane Pier Mario Morosini, calciatore del  Livorno, morto durante la partita a Pescara. Tristissima notizia per tutti, che però le burocrazie sportive, col blocco di tutte le partite di sabato e domenica, hanno oscurato negli incensi della retorica; e le burocrazie giornalistiche anche di più, con tg, radio e giornali travolti dal populismo: in testa Repubblica e Corriere della sera, che hanno  riservato all’evento l’apertura domenicale a tutta pagina, come quando a Superga s’infranse il Grande Torino o spararono a Kennedy o morì Giovanni Paolo II. Bisogna far questo, in Italia, per stare in sintonia col paese?

E  non dovrebbe chiedere più scuola la signora Marcegaglia, anziché solo flessibilità in entrata e in uscita (ma sentite come parlano)? Così, ho cercato sui nostri giornali qualcosa che potesse ricordare l’interesse di Le Monde per la scuola italiana, col suo milione di docenti, 10 milioni di studenti, altrettanti di famiglie interessate e anche qualche cittadino pensoso del  paese. Niente, neppure nei Dieci Punti, in via di definizione e attuazione del Piano cresci-Italia:   banda larga, incentivi alle imprese, opere pubbliche, energia, pagamenti alle imprese, Ace Irap e fondo di garanzia, accesso al credito start up Italia (tradotto: imprenditoria giovanile non necessariamente hi tech: ci risiamo), liberalizzazioni, internazionalizzazione. Niente scuola.

E pensare che la coppia Gelmini-Tremonti l’ha appena mutilata di 8 miliardi euro. Finalmente  scopro nella posta del Venerdì di Repubblica che provvederà a tutto Valentina Aprea, pedagogista, già direttrice didattica della scuola di Arcore e dunque deputata Fi, dribblata da Moratti e Gelmini sulla poltrona di ministra, ma sottosegretaria perenne, poi presidente della commissione cultura, infine di assessore di Formigoni, sempre aspirante al ruolo di Gentile come riformatrice della scuola. Un insegnante precario ricorda e lamenta al Venerdì  che è imminente l’approvazione in  parlamento di una riforma Aprea “nel disinteresse di partiti, giornali e opinione pubblica”.  Quel disinteresse che in Francia chiamano indifférence catastrophique. La lettera chiede una risposta a  Michele Serra, visto che i nostri ottimi ex ministri e gli intellettuali tacciono, Berlinguer, Di Mauro, Fioroni, Asor Rosa, Cacciari, Eco. La riforma Aprea s’incentra sul luogo comune della libertà delle famiglie di scegliere la scuola per i loro figli: libertà consacrata dalla costituzione. Vero, purché ognuno se la paghi di tasca sua, se rinuncia alla scuola di tutti, quella dello stato. Vecchissima storia, nodo del conflitto stato-chiesa a dir poco da 150 anni.

Quanto al Pd, Serra rileva che la natura composita del partito (sociademocratici, cattolicosociali, laico-liberali) qui si rivela paralizzante, come per i temi etici. Cose, anche queste, che sapevamo. Tanto più che la signora Aprea scrive: “Ogni scuola che ha (abbia?) un proprio progetto (educativo?), deve (dovrebbe?) poter indicare la propria aspirazione, fare l’identikit del docente giusto (?) e poterlo scegliere all’interno di (in?) un elenco di insegnanti ritenuti idonei dalla Repubblica”. Come quelli di religione nella scuola dello stato. Tutt’altro che una bandiera da affiancare a quella che Le Monde sventola sotto il naso di Sarkozy, Hollande, Le Penn,  per ridare alla Francia la secolare capacità di  formare i citoyennes nelle aule. E poi lanciarli nella produzione, nell’amministrazione, nella politica, una vita consapevole.

da Europa Quotidiano


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