Bersani, mossa giusta sulla Rai

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Chi non ha fatto una volta nella vita il gioco del cerino? La variante a proposito della Rai è che a bruciarsi non rischia nessuno dei giocatori, ma l’azienda stessa. Almeno questo era il pericolo fino a ieri, quando Bersani ha compiuto una mossa coerente con la sua impostazione, che potrebbe sbloccare lo stallo sul consiglio d’amministrazione di viale Mazzini.
Dal loro punto di vista tutti hanno qualche buona ragione nella partita Rai. Il governo, che avrebbe voluto cambiare la governance ma che ci ha rinunciato dopo aver verificato che non avrebbe avuto i numeri in parlamento, indicando, tuttavia, come amministra tori persone di ottimo profilo. Il segretario del Pd, che giustamente sostiene da mesi che la legge Gasparri non solo non garantisce l’autonomia dell’azienda ma non consentirebbe neanche a un manager Superman di avviarla sulla via del risanamento economico ed editoriale.
Infine, per motivi opposti, sono da capire (senza evidentemente condividerle) anche le ragioni degli uomini dell’onorevole Berlusconi che fanno quadrato per difendere la “loro” legge, i “loro” uomini e le “loro” donne che hanno consentito, da più di un decennio, un ferreo controllo sulla più importante azienda culturale del paese.

Ci sono però anche evidenti torti, sia pure non in egual misura.
Ha un torto il governo, che ha gettato la spugna troppo presto nonostante avesse chiara la consapevolezza di quanto fosse grave la situazione a viale Mazzini.
Io non credo che, con gli occhi di tutti gli osservatori europei puntati sul nostro paese, una maggiore determinazione nel tenere il punto su quanto lo stesso presidente Monti aveva annunciato in gennaio avrebbe potuto indurre il Pdl (identificato all’estero identificato come il partito Mediaset) ad aprire la crisi di governo.

Per quanto riguarda l’aziendapartito di Berlusconi, mi sembra che soffra di strabismo: anche a voler dare ragione a chi ha sempre sostenuto che non può non proteggere il conflitto di interessi, il dissolvimento del servizio pubblico non sarebbe certamente un buon affare per Cologno Monzese. E che l’attuale management non sia in grado di tirar fuori la Rai dalle secche nelle quali è stata fatta arenare sono loro i primi a saperlo, perché di televisione se ne intendono.

Infine c’è il segretario del Pd, autore ieri della mossa che cambia lo scenario.
Una cosa che nessuno può rimproveragli è l’assenza di coerenza. La sua posizione non è cambiata di una virgola da quando è stato eletto alla guida di quel partito: quando afferma che vuol tirarsi fuori da una governance che sta facendo precipitare la Rai in un baratro non si può far altro che condividerne le ragioni.

Senza averlo voluto rischiava però di restare con il famoso cerino in mano. In molti lo tiravano per la giacca chiedendogli di scegliere tra partecipare al rinnovo del cda, consentendo così l’insediamento dei nuovi vertici indicati da Monti, o assumersi la responsabilità di mantenere in vita l’attuale vertice nella precarietà di una tacita prorogatio. Ieri Paolo Conti scriveva sul Corriere della Sera di considerare prioritario per la salvezza di viale Mazzini voltare al più presto pagina e lo invitava addirittura a «turarsi il naso».
Non mi sarebbe sembrata francamente né una soluzione dignitosa né l’unica possibile.

Mi permetterei allora di suggerire una terza via, che è in sostanza la condivisione di un percorso.
1) si impegni il governo, nella sua qualità di azionista, ad attuare tutte le opportunità derivanti dallo statuto per ottenere, attraverso un diverso equilibrio di poteri e di deleghe tra presidente, direttore generale e consiglio, efficienza e trasparenza di gestione;
2) si definiscano ruolo, missione e obiettivi del servizio pubblico radiotelevisivo;
3) si diano garanzie affinché il risanamento economico e finanziario sia raggiunto senza ridimensionare il core business di viale Mazzini, cioè l’offerta editoriale;
4) si dia corso all’ultima proposta di Bersani, cioè all’indicazione da parte delle sigle della società civile maggiormente impegnate su questi temi di nomi di alto profilo e di provata autonomia e indipendenza, che il Pd si impegna a votare solo ed esclusivamente nell’interesse dell’azienda, dei suoi dipendenti e dei cittadini che pagano il canone.

La commissione di vigilanza ha fissato per il 21 giugno la sua riunione, il Tesoro ha rinviato al 3 luglio l’asssemblea degli azionisti, che comunque si può tenere in forma totalitaria in qualsiasi momento. Il tempo per trovare una soluzione dignitosa dunque c’è. Con l’augurio che alla fine il cerino non bruci proprio viale Mazzini.

*tratto da http://www.europaquotidiano.it


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