Giornalismo sotto attacco in Italia

Non chiamatela separazione delle carriere

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Con la scontata approvazione da parte del Senato il 30 ottobre si è concluso il percorso parlamentare del disegno di riforma costituzionale (Norme in materia di ordinamento giurisdizionale e di istituzione della Corte disciplinare) proposto dal Governo Meloni e divulgato all’opinione pubblica come Riforma della Giustizia o Separazione delle carriere. La riforma è stata accolta con grandi ovazioni dalla destra e Forza Italia ha intestato con orgoglio la riforma a Berlusconi, portando in processione per le strade di Roma l’effigie di Berlusconi come se fosse la Madonna Pellegrina. Il percorso della riforma, approvata a tambur battente, costituisce di per sé una prova tecnica di Premierato. Non era mai accaduto, infatti, nella storia parlamentare che una riforma della Costituzione venisse approvata nel testo proposto dal Governo senza che venisse consentito al Parlamento di approvare un solo emendamento. Un testo governativo indiscutibile per un Parlamento espropriato della sua funzione e ridotto a claque del Governo. Per prepararci al referendum costituzionale, la prima operazione da compiere è fare pulizia delle parole false ed ingannevoli. Innanzitutto bisogna spiegare che quella in predicato non è una riforma della giustizia. La riforma Nordio/Berlusconi/Gelli non ha nulla a che vedere con le questioni attinenti al funzionamento della giustizia né – tantomeno – è volta a migliorare la qualità del servizio giustizia a tutela dei diritti dei cittadini. La denominazione della riforma come Separazione delle carriere è una vera e propria truffa delle etichette. La separazione delle carriere è stata già portata a termine, a Costituzione invariata, con la riforma Cartabia (art. 12 della legge 71/2022), ormai non c’è più nulla da separare. L’oggetto della riforma è la riscrittura del titolo IV della Costituzione all’unico scopo di restringere o abbattere le garanzie di indipendenza dell’esercizio della giurisdizione. In sostanza, quella di Nordio/Meloni è una riforma dell’indipendenza del potere giudiziario. Il Titolo IV della Costituzione sull’ordinamento giurisdizionale definisce in modo molto più organico e completo che in altre costituzioni moderne, il principio della separazione dei poteri, creando uno zoccolo duro di pluralismo istituzionale che non può essere superato, a Costituzione vigente.

Il Titolo IV della Costituzione ha operato una netta cesura rispetto al vecchio ordinamento monarchico-liberale nel quale, alle scarse garanzie di indipendenza dei giudici, si affiancava la soggezione dei Pubblici Ministeri al potere politico. Ciò ha determinato l’incapacità della magistratura dell’epoca di effettuare una efficace azione di contrasto alle violenze che portarono all’avvento della dittatura fascista. Le norme che garantiscono l’indipendenza del giudiziario (Titolo IV) e quelle che assoggettano l’esercizio dei poteri al Controllo di Costituzionalità (Titolo VI), incarnano le garanzie antitotalitarie della Costituzione italiana. Nel disegno costituzionale l’indipendenza della magistratura non è concepita come un privilegio corporativo dei magistrati bensì costituisce una garanzia per la tutela dei diritti fondamentali dei cittadini e dei beni pubblici repubblicani a fronte dei possibili abusi dei poteri pubblici o privati. In una situazione politica in cui i poteri pubblici tendono a debordare e a varcare i limiti della legalità, la magistratura indipendente svolge necessariamente una funzione antimaggioritaria, e ciò non dipende dall’orientamento politico dei singoli giudici. Proprio questa funzione di garanzia dei diritti e della legalità è quello che la riforma costituzionale mira ad eliminare. La Meloni ci fornisce l’interpretazione autentica della riforma quando afferma: ““La mancata registrazione da parte della Corte dei conti della delibera CIPESS riguardante il Ponte sullo Stretto è l’ennesimo atto di invasione della giurisdizione sulle scelte del Governo e del Parlamento. Sul piano tecnico (..) La riforma costituzionale della giustizia e la riforma della Corte dei Conti, entrambe in discussione al Senato, prossime all’approvazione, rappresentano la risposta più adeguata a una intollerabile invadenza, che non fermerà l’azione di Governo, sostenuta dal Parlamento”.

Lo strumento principale attraverso il quale la Costituzione assicura la garanzia dell’indipendenza della magistratura è il ruolo e la funzione del Consiglio Superiore della Magistratura. Non a caso

nel corso del tempo il ruolo del Consiglio Superiore della Magistratura è stato oggetto di violenti conflitti politici.

Clamoroso fu il conflitto fra il Presidente della Repubblica Francesco Cossiga ed il Consiglio Superiore della Magistratura. Cossiga arrivò al punto di minacciare l’intervento dei carabinieri per impedire che il plenum del Consiglio trattasse degli argomenti che lui aveva vietato. In un’intervista nel 1991dichiarò: ““feci schierare un battaglione mobile di carabinieri in assetto antisommossa, al comando di un generale di brigata”. Ma l’esigenza di rendere l’esercizio della giurisdizione subordinato all’indirizzo politico era già emersa già nel 1981 con la scoperta del “Piano di rinascita democratica” di Licio Gelli. Si trattava di un progetto che mirava a spegnere la democrazia italiana attraverso un’azione riservata che, pur escludendo il ricorso ad un colpo di Stato di tipo greco, mirava a sovvertire le istituzioni democratiche. Per l’ordinamento della magistratura era prevista una riforma particolarmente “moderna” articolata su una serie di passi finalizzati a ricondurre l’esercizio della giurisdizione sotto il controllo del potere politico, eliminando lo scandalo del “potere diviso” postulato dalla Costituzione repubblicana. Attraverso una riforma della Costituzione, il Piano di rinascita democratica prevedeva la separazione delle carriere fra magistrati giudicanti e magistrati inquirenti, la sottoposizione di questi ultimi al controllo del Ministro della giustizia e la neutralizzazione dell’autogoverno dei magistrati, mediante la sottoposizione del Consiglio superiore della magistratura al controllo del Parlamento. In attesa delle modifiche costituzionali il piano suggeriva di intervenire con urgenza per introdurre la responsabilità civile (per colpa) dei magistrati, il divieto di nominare sulla stampa i magistrati comunque investiti di procedimenti giudiziari e gli esami psicoattitudinali per l’accesso alla carriera. La profezia nera di Licio Gelli non è mai tramontata, come un fiume carsico è affiorata più volta in diversi contesti politici e adesso ha trovato piena soddisfazione con la riforma costituzionale appena approvata dal Parlamento. L’insofferenza di questo potere politico verso il controllo di legalità esercitato da una magistratura indipendente, resa plasticamente evidente dalla valanga di insulti e minacce ai giudici e pubblici ministeri, e adesso anche alla magistratura contabile, vomitate dai vertici politici ogni volta che vengono adottati provvedimenti sgraditi, è il movente di questo attacco alla giurisdizione, la riforma dell’assetto costituzionale della magistratura è la soluzione. Poiché il Consiglio superiore è la bestia nera, la riforma lo depotenzia dividendolo in tre parti, un Consiglio per i magistrati del Pubblico Ministero, uno per i magistrati giudicanti ed uno, denominato Alta Corte disciplinare, competente per i provvedimenti disciplinari. Non basta la divisione in tre parti, la funzione di questi tre organi viene ulteriormente svilita cancellando la rappresentanza del corpo dei magistrati dagli organi di “autogoverno”, attraverso l’introduzione del criterio del sorteggio secco dei componenti togati. In definitiva la rottura del modello costituzionale dell’unicità della magistratura e l’invenzione di tre organi composti da membri sorteggiati, cancella l’autogoverno e rende oscura e non trasparente l’attività di gestione della magistratura. Si creano così le condizioni per un impoverimento culturale e ideale del corpo dei magistrati, che diventeranno sempre più “funzionari” ministeriali e sempre meno garanti di ultima istanza dei diritti inviolabili dei cittadini.

Dietro questo progetto di riforma vi è la palese ispirazione ad abbattere il livello di indipendenza reale della magistratura e di porre rimedio allo “scandalo del potere diviso”. Sbarazzarsi dei poteri di controllo è il passaggio obbligato per la trasformazione di un ordinamento democratico in una democrazia illiberale sul modello ungherese o turco. Di qui l’importanza della mobilitazione per impedire la svolta autoritaria in itinere cancellando la riforma con il referendum costituzionale.


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