Viktor Orbán è l’emblema dell’Europa come non dovrebbe essere e, purtroppo, invece è. Con la sua minaccia di dar vita ad azioni legali nei confronti dei parlamentari accorsi da ogni angolo del Vecchio Continente per partecipare al Pride di Budapest, infatti, il despota magiaro ha gettato definitivamente la maschera.
E, sinceramente, siamo indignati di fronte al silenzio delle istituzioni comunitarie, intente a criticarlo quando si genuflette a Putin e indifferenti al cospetto della totale incompatibilità di un personaggio del genere con i più elementari principî liberali. Come se i due aspetti, peraltro, fossero in contrapposizione.
Orbán e la sua corte sono quanto di peggio ci sia oggi nell’Unione Europea: un avamposto della non Europa che, come un pericoloso virus, sta contagiando anche altri paesi. È la dimostrazione di quanto sia fondata la teoria economica secondo cui “la moneta cattiva scaccia la moneta buona”.
Eppure, neanche la minaccia di un riconoscimento facciale, con annessa sanzione pecuniaria da parte dell’esecutivo, o il blocco con le auto del ponte Szabadság da parte degli estremisti di destra, ha fermato il movimento LGBTQIA+, per il semplice motivo che l’amore non si può fermare in alcun modo.
Quanto all’Italia, per una volta abbiamo fatto una discreta figura, grazie alla partecipazione di Riccardo Magi (segretario di Più Europa), Matteo Hallissey (presidente di Più Europa), Carlo Calenda (segretario di Azione), Elly Schlein (segretaria del PD), una delegazione di AVS, alcuni esponenti del M5S, tra cui le senatrici Alessandra Maiorino, Elisa Pirro, Gabriella De Girolamo e il senatore Marco Croatti, l’avvocata e attivista Cathy La Torre, tanti rappresentanti della società civile che alla barbarie non si rassegnano.
Il problema di Orbán, però, rimane. Uno così non può stare in Europa, pena la fine dell’Europa stessa.
Non si tratta di abbandonare un popolo, rafforzando i nazionalismi già dilaganti al suo interno, ma di porre dei paletti chiari e seri a un modo di governare incompatibile con la democrazia e i diritti umani.
Orbán, difatti, è più di un autocrate: è una deriva, un sintomo del declino in atto, una personalità che ci conduce nel baratro. È una delle ragioni per cui la cittadinanza europea non si fida più di quello che un tempo era considerato un sogno e, quel che è peggio, un punto di riferimento per troppi epigoni pronti a imitarlo.
Certo, la politica ungherese non è solo lui. Ci sono anche persone degne, come il sindaco di Budapest Gergely Karácsony, che ha autorizzato il Pride opponendosi all’oscurantismo del governo.
Il punto, ribadiamo, è chiaro: o Ursula von der Leyen, fra una crisi e l’altra, decide di farsi sentire, oppure finirà col presiedere il nulla, mentre la costruzione europea franerà sotto i colpi della propria assenza nei momenti decisivi.
Quando un soggetto viene pervaso da una hybris tale da indurlo a minacciare sanzioni persino ai rappresentanti del popolo, portare in piazza un corpo in più diventa un dovere morale.
E oggi, per fortuna, c’è chi l’ha fatto.
Grazie: avete manifestato per tutte e tutti noi ma, più che mai, per ribadire che un’altra Europa, fondata sulla pace e sui diritti universali, è ancora possibile. Anzi: indispensabile.