Una nuova edizione del sorriso di Niccolò

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La prima edizione del Sorriso di Niccolò di Maurizio Viroli, risale al 1998: nel frattempo sono venuti alla luce nuovi testi e pregevoli studi critici che, anche stimolati da quella ormai lontana pubblicazione, hanno cambiato la conoscenza e perfino certi aspetti della biografia di Machiavelli. Questa edizione, uscita sul finire del 2024 sempre per i tipi di Laterza, tiene conto dei nuovi documenti portati alla luce da vari studiosi. Viroli, però, non si sofferma su una semplice rilettura, né, tantomeno, propone un aggiornamento tecnico rivolto a un ristretto numero di addetti ai lavori. Siamo invece di fronte a una opera di fatto inedita, intrisa della stessa attualità e freschezza che, quasi trent’anni fa, sancì la fortuna della prima tiratura, tradotta in varie lingue e diffusa in tutto il mondo.

Un testo capace di andare controcorrente fin dal momento in cui ci pone di fronte alle vie di un’etica irrimediabilmente perduta in questa epoca di guerre, crisi ambientali e di disuguaglianze diffuse; di diritti e doveri dimenticati. E il sorriso di Niccolò non è il ghigno beffardo “di chi deride i deboli e gli sconfitti per affermare la propria superiorità, né il sorriso sarcastico dei servi e dei miserabili che vorrebbero ferire, perché le odiano, le persone libere”: è, semplicemente, “il sorriso di un uomo buono”.

D’altronde, era lo stesso Machiavelli a spiegare che

“…se alcuna volta io rido o canto, / fòllo perché io non ho se non questa una /

via da sfogare el mio acerbo pianto.”

Il riso dell’uomo (buono) volto a mascherare la sofferenza non solo non fa male, ma neppure sa concepire il male. Esprime, semmai, una forma di difesa dalle malignità e si pone empaticamente a base della relazione col prossimo: diventa quindi il fondamento di quella concezione repubblicana della libertà che costituisce l’asse contrale del pensiero di Machiavelli “fondata sul principio che vivere liberi vuol dire non essere sottoposti alla volontà arbitraria”, poiché la libertà esige il governo della legge, chiama all’amor patrio e al servizio del bene comune.

Certo, introdurre oggi i temi della bontà, del riso e del pianto come forme interpretative delle categorie politiche, seppure a scopi biografici, può apparire azzardato, fino a suscitare altri sorrisi, di sarcasmo. se non di scherno. Ma una simile ipotesi non sembra affatto scuotere Viroli:

Molti credono che le grandi opere di politica nascano dal distacco e dalla fredda luce della ragione non turbata dalle passioni. È una sciocchezza inventata dagli accademici.”

Parole lapidarie e di forte impatto “educativo” che accompagnano il lettore a immergersi nel personaggio e, indirettamente, a valutare cosa sia vivo o morto oggi dei pensieri che Machiavelli ci ha lasciato in eredità. A cominciare dalle concezioni che a molti appaiono comunque o troppo “lontane” oppure utili solo per sollecitare, o giustificare, il cinismo dilagante in giorni in cui assistiamo a sistematiche violazioni dei più elementari diritti, alla devastazione dell’ecosistema, alle guerre mascherate come operazioni “speciali” o di difesa. Un’era, comunque la si intenda, di transizione: ecologica, politica, scientifica, tecnologica, egemonica.

Invece, sembra sussurrarci l’autore col piglio del profondo esegeta, di Machiavelli resta prezioso proprio il richiamo alle passioni e agli ideali; poiché oggi il compito degli studiosi non è di “giustificare” la sua perdurante fortuna, ma di salvare un briciolo di onestà intellettuale a fronte di vulgate ove, storpiando il suo nome e il suo pensiero, “machiavellico” e “machiavellismo” diventano sinonimi di lucida e spregiudicata indifferenza, opportunismo, furbizia e scaltrezza servile verso i potenti di turno. Di più, siamo alla messa in guardia contro la politica intesa come licenza di rinunciare ai principi etici e posta al di là del bene e del male al seguito di una “nuova morale” da cui è vano o ingenuo ribellarsi.

Sono stati tanti gli illustri interpreti del Machiavelli declinato in questo senso e Viroli menziona esempi eclatanti, quasi a combattere una donchisciottesca battaglia contro una deriva che pare inarrestabile, con cui si giustificano, e anzi si nobilitano, le peggiori nefandezze in nome di fantomatiche ragion di stato, di suprematismi e di primati a sfondo razziale, sessuale, religioso, o di censo.

Ci viene così incontro un Machiavelli “spirituale” e scherzoso, desideroso di penetrare il mistero: consapevole che su ognuno di noi agiscono le forze dei pianeti, dei nostri simili, delle piante e delle cose e nel contempo irridente i ciarlatani e i falsi profeti che, proni al principe di turno, spandono falsità da tribune e altari per basso tornaconto. È un uomo che crede in Mosè, rispetta Savonarola, pur criticandolo come profeta disarmato, ma rigetta i cialtroni perché sa che la redenzione della patria, della comunità, è un tutt’uno con quella intima consapevolezza, continuamente da alimentare, che tiene viva la responsabilità personale di ogni cittadino. In mancanza di questi requisiti basilari non può che trionfare il disorientamento e poi la desolazione.

Siamo pertanto assai lontani dai moderni populismi che a Machiavelli dicono di ispirarsi, nonostante che egli non ami né la “licenza delle plebi” né, tantomeno, “l’insolenza dei nobili”. Non può essere ascritto ai democratici, né può essere etichettato come un “radicale che diventa reazionario”: il suo pensiero ha semplicemente per base l’antico filone repubblicano che (si) trasfonde anche nella prassi quotidiana. E la bontà non preclude affatto l’ironia. Richiede, anzi, un salvifico umorismo: per questo scrive testi classici della teoria politica e commedie comiche come Mandragora e Clizia. Studio, riso e pianto diventano ermeneutica umana segnata da slanci e tentazioni; dalla esigenza di cogliere le meschinità, le avarizie, così come gli entusiasmi e gli amori. Condizioni che, unite a tutte le innumerevoli, variegate, gioiose e dolorose vicende della vita impongono la relazione, l’incontro con gli altri, come condizione di edificazione morale e di civile convivenza poste a essenza stessa della res-publica.

Con questa nuova edizione, infine, scopriamo allora un libro nuovo, arricchito dagli studi successivi, ma anche dagli anni trascorsi, dal tempo che è entrato in noi e nell’autore sotto forma di storia, di memoria e di vissuto. Lo si nota, soprattutto, nei capitoli restati apparentemente immutati. Basta il cambiamento di alcune punteggiature, di semplici modalità di andare a capo; qualche lieve modifica nella diposizione di vocaboli o periodi: ed è come se le parole giungessero con un suono diverso e con differenti cadenze, indicandoci nuovi orizzonti e prospettive finora inesplorate nel fantastico viaggio della continua conoscenza e scoperta che la vita può regalarci.


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