“Un mondo migliore è come un seme di almendro. Lo fai cadere nella terra e forse tu non lo vedrai diventare pianta. Ma le future generazioni sicuramente godranno dell’ombra di quel mandorlo o dei frutti del mango”. Nella saggezza di Brigida, una donna cui hanno ucciso una figlia di quindici anni, membro della Comunità di pace di San José de Apartadó, è racchiuso il senso del bellissimo libro di Gennaro Giudetti, operatore umanitario in zone di guerra, di emergenza e di crisi internazionali, e della nostra Angela Iantosca, giornalista e autrice teatrale, da sempre in prima fila nella denuncia di ogni forma di orrore e di violenza.
A pensarci bene, la riflessione di Brigida è la versione colombiana del messaggio contenuto ne “L’uomo che piantava gli alberi” di Jean Giono, uno dei libri più intensi che siano mai stati scritti. L’idea di piantare un seme e innaffiarlo, l’idea che diventerà un albero quando non ci saremo più ma valga comunque la pena di compiere quel gesto, l’idea di porre se stessi al servizio del prossimo e della comunità nel suo insieme è ciò che sta salvando l’umanità persino in questo tempo di orrore e di morte.
Ad Angela e al suo impegno dobbiamo molto, a cominciare da questo libro scritto a quattro mani. Un’opera in cui si parla di migranti, di ultimi, di disperati, dell’Ucraina, di Gaza, di dolore e di tristezza ma anche di tutto ciò che tiene in vita l’ideale di un altro mondo possibile e necessario quando a crederci sembrano essere rimasti in pochi.
Intervistare Angela é, dunque, il nostro modo per dirle grazie, per valorizzarne il lavoro e per non arrenderci, a nostra volta, al male che pervade questo tempo. Un tempo senza futuro, nel quale tuttavia c’è ancora posto per chi dice no. Diamo loro voce, prima che sia tardi.