Che cos’è democrazia? Scegliere ogni cinque anni chi ti rappresenta, magari senza neppure conoscere il suo nome perché ci sono le liste bloccate? Oppure hai diritto a far sentire la tua voce quando ti interpellano su cose concrete? La questione è tutta qui.
L’8 e il 9 di giugno il popolo italiano è chiamato al voto su 5 referendum che riguardano il lavoro e la cittadinanza. Perché le norme in vigore siano abrogate occorre che vincano i sì e che vada alle urne il 50% dell’elettorato. Per questo chi è per mantenere lo status quo e non cambiare nulla non fa campagna per il no ma invita a disertare i seggi confidando sul fatto che l’astensionismo da noi è già alto di suo. Fosse stato necessario il quorum alle Ultime Europee, nel 2024 non avremmo mandato nessuno a Bruxelles visto che allora ha votato solo il 48%. Insomma, i partiti astensionisti (governativi e non solo) vogliono “vincere facile”, confidano nell’inerzia: “la gente starà a casa e il gioco è fatto”, pensano, o meglio sperano.
Ma c’è un’altra questione che ci interessa da vicino: l’informazione che fa? I “media dominanti” paiono aver fatto loro il vecchio motto “la società non esiste” e non ha diritto a dire la sua. Così su questo appuntamento di grande rilevanza costituzionale e di notevole significato politico è caduto il silenzio. A chi dirige l’orchestra mediatica piace solo il teatrino delle polemiche fra i leader, enfatizzare i loro spesso futili litigi. E la dignità di chi lavora? Di chi non arriva a fine mese? Su questo ogni tanto si dice qualcosa, poi però tutto deve continuare come prima. Così molti italiani a pochi giorni dall’8 giugno non sanno esattamente su cosa si voti perché nessuno glielo dice. Forse qualcuno sa che si parla di norme su licenziamenti e precariato. Non sarebbe stato utile un ricco confronto su questi temi? Perché il potere d’acquisto degli italiani è crollato negli ultimi dieci anni? Perché centinaia di migliaia di giovani (non solo i laureati) se ne vanno all’estero? Su questo neanche una parola.
Anche sulla cittadinanza per lavoratori stranieri regolari, incensurati, che conoscono l’italiano e hanno una soglia di reddito sicura non si dice nulla. Quanti sanno che fino al 1992 gli anni di residenza continuativa richiesta per chiederla erano cinque? Quanti sono al corrente che con le procedure attuali da 10 gli anni salgono di fatto a 13 (e quindi il sì al referendum li porterebbe in realtà a 8)? Quanti sono consapevoli che non tutte queste persone faranno domanda perché la richiesta costa tempo e denaro ed è comunque una scelta di vita quella di diventare italiani?
Di sicuro quelli che guardano la televisione e leggono la televisione queste cose non possono saperle perché non c’è nessuno che li informa. Ho lasciato da ultimo il referendum sulla sicurezza sul lavoro. In Italia ogni anno muoiono per “guadagnarsi il pane” oltre mille persone, centinaia di migliaia restano ferite o rese invalide. In molti casi sono dipendenti di ditte in appalto e in subappalto. Uno dei quesiti referendari chiede che il committente di fatto verifichi la consistenza della ditta che prende in affido i lavori non scaricando su di essa ogni responsabilità. Ci sono stati incidenti nel nostro paese in cantieri che vedevano la presenza anche di 30 aziendine in subappalto. Qualcuno lo ricorda? Quali standard di sicurezza rispettavano?
L’8 e il 9 di giugno non si vota per un partito ma per la partita “cinismo contro dignità”. Un certo “giornalismo” si vuole condannare alla definitiva irrilevanza? Sarà causa del suo male. Per fortuna ci sono il passaparola, le piazze, gli incontri, il Web. Il mondo va avanti sempre e ogni voto in più, per il Sì come per il No su questo non c’è differenza, aiuterà a dare un chiaro messaggio: senza popolo la democrazia semplicemente non è più tale
Referendum 8 e 9 giugno. Dal seminario “Ora Tocca a Noi” del 28 maggio organizzato da “La Cura del Vero” qui l’intervento dell’ economista Fabrizio Barca del Forum Disuguaglianze e Diversità
E qui sempre dal seminario “Ora Tocca a Noi” quello del professor Luigi Ferrajoli giurista, introdotto dalla professoressa Laura Nota e da Roberto Reale