Il voto nel referendum, secondo la disciplina dell’art. 48 Cost., è oltre che un diritto un “dovere civico”. La legislazione elettorale italiana, che aveva in passato previsto per chi non votasse la menzione di tale circostanza nella documentazione penale, ha oggi collegato al “dovere civico” la promozione e la facilitazione del voto ad opera delle autorità pubbliche. È pertanto singolare e gravemente scorretto che coloro che ricoprono cariche di vertice dell’organizzazione dello Stato (Presidenti delle Camere e Ministri soprattutto) invitino gli italiani a non votare nei referendum convocati per l’8 e il 9 giugno 2025. Chi ricopre cariche pubbliche deve farlo con “disciplina ed onore”. (art.54 Cost) È inutile rilevare che questo dovere si coniuga diversamente in relazione ai diversi incarichi pubblici e che assume una rilevanza maggiore in relazione alle più alte cariche dello Stato. Se è vero che disertando le urne gli elettori, i comuni cittadini, possono invalidare il referendum con il mancato raggiungimento del quorum di cui all’art. 75 Cost., questo non autorizza però in alcun modo le massime autorità istituzionali a scoraggiare il voto “contro” il disposto dell’art. 48 Cost. Il caso in cui manchi il quorum del referendum non è in nessun modo equiparabile alla prevalenza dei “no” nelle schede depositate nell’urna. Con il “no” deposto nell’urna l’elettore esprime una scelta nel merito del quesito referendario. Facendo mancare il quorum si adopera affinchè il referendum sia invalido e privo di effetti, vanificando con ciò il diritto al voto degli altri elettori. Sempre valutando il comportamento dei comuni elettori si po’ rilevare che in alcune occasioni del passato, l’assenza della maggioranza degli aventi diritto al voto è servita a contestare referendum discutibili nella loro univocità e chiarezza, ovvero reputati di scarso rilievo. I referendum dell’8 e del 9 giugno 2025, ritenuti univoci e chiari dalla Corte costituzionale, riguardano temi specifici, ma non certo contestabili come di scarsa importanza: il diritto dei lavoratori alla stabilità del lavoro, anche in relazione all’esigenza di un’effettiva tutela contro i licenziamenti illegittimi, la tutela dei lavoratori medesimi per la sicurezza del lavoro e, infine, il dimezzamento degli anni di residenza necessari per poter richiedere la cittadinanza da parte di chi ormai da anni risiede stabilmente e regolarmente in Italia. In conclusione si può ribadire con forza l’esigenza di andare al voto l’8 e 9 giugno prossimi per i cinque referendum. Potrebbe essere anche un modo per dimostrare che molti cittadini hanno una sensibilità e sentono una responsabilità maggiore di alcuni esponenti istituzionali seduti in alcuni uffici romani.
*Vittorio Angiolini è Professore ordinario di Diritto Costituzionale Università statale di Milano
