Teatro di Roma, prove di regime nero

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«Contro il monopolio di un pensiero unico», così ha detto il Presidente Mattarella in occasione delle celebrazioni per Pesaro città della cultura 2024.

Ecco, la destra oggi al governo ha inferto un colpo sgradevole proprio al primo cittadino, occupando il Teatro di Roma (più di uno Stabile, bensì un vero gruppo pubblico comprensivo di varie platee).

Con un colpo di mano, una maggioranza costituitasi con dubbia legittimità in consiglio senza il Presidente e la rappresentante del Comune di Roma Natalia Di Iorio -il Campidoglio è il maggiore azionista- ha espresso il direttore generale. Si tratta di una vecchia conoscenza del settore, Luca De Fusco, il cui merito speciale è di essere allineato con l’attuale maggioranza.

Ma lasciamo perdere i giudizi sulle persone, ancorché sia ovvio che una struttura di quella complessità abbia bisogno di un manager culturale con vasta esperienza amministrativa. Non dimentichiamo che vi sono stati anni di commissariamento e complesse vicende statutarie.

Tuttavia, è bene sottolineare innanzitutto il messaggio terribile che ci viene consegnato da simile pasticciaccio, perpetrato a pochi passi dal luogo dove fu ucciso Giulio Cesare. Siamo al cospetto della «normalità» dell’occupazione del potere. Enti vari e numerosi, Rai, istituzioni del cinema e ora del teatro devono diventare costole ed espressioni di una sola parte aggressiva e faziosa.

Articolo21 ha partecipato alla improvvisata mobilitazione davanti al teatro Argentina nel pomeriggio di oggi, esprimendo la massima solidarietà al presidente Francesco Siciliano e all’assessore del Comune di Roma Miguel Gotor, nonché all’animatore dell’iniziativa Christian Raimo.

Si porrà il problema formale dell’assenza dei requisiti necessari per la convocazione del consiglio, certamente.

Si rende indispensabile, però, dare vita ad una vertenza nazionale costruita con un sapiente raccordo tra le lotte di resistenza e la costruzione di un progetto culturale alternativo alla svolta reazionaria in crisi.

Attenzione. Se la contronarrazione evocata dal ministro Sangiuliano arriva a calcare le scene del teatro, nate proprio secoli fa come luogo principe della libertà, vuol dire che l’allarme è rosso. Anzi, nero.


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