Se la scuola esclude, il Paese muore

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Il problema di questo governo, per quanto riguarda la scuola, non sono tanto le uscite infelici di alcuni suoi esponenti, e nemmeno le più che discutibili trovate di alcuni suoi sostenitori esterni. Non ce la prendiamo, nello specifico, con il prode Durigon o con l’assessora Donazzan, le cui iniziative e dichiarazioni sono ormai note al grande pubblico, né con le “valditarate” del ministro, che un giorno dice di voler umiliare gli studenti e le studentesse che sbagliano, un giorno propone il ritorno alle gabbie salariali e domani chissà cos’altro si tirerà fuori. Il problema è l’impianto ideologico, filosofico e diremmo quasi pedagogico di questa compagine. Sbaglia, infatti, chi pensa che questi non abbiano una visione del mondo: ce l’hanno eccome. E sbaglia anche chi si illude di poterli mandare a casa con una o più mobilitazioni, per quanto un minimo di opposizione, in un contesto che ancora si dice democratico, non sarebbe male. Questo esecutivo ha una potenza ideologica senza precedenti, una visione del mondo articolata e persino una sua complessità nell’affrontare le singole questioni. Il punto sono le risposte che fornisce: risposte di destra, quando non di estrema destra, talvolta illiberali, talvolta addirittura pericolose, sulla scuola retrograde e prive di alcun ancoraggio alla realtà. Eppure sbagliano anche coloro che si sorprendono. Ragazzi, questi sono gli stessi dei giorni di Genova, del voto in condotta della Moratti, del grembiulino della Gelmini, dei tagli dissennati di Tremonti, delle classi pollaio, dell’obbligo di avere la sufficienza in tutte le materie per passare all’anno successivo, della scuola intesa come sapere imposto dall’alto, obbligo e costrizione. Nel centenario della nascita di don Milani appaiono anacronistici, e lo sono, ma cosa abbiamo fatto noi per contrastarli? Sarebbe opportuno che la sinistra, o sedicente tale, prima di scagliarsi contro le proposte assurde che stanno emergendo in questi mesi, sulla scuola facesse un mea culpa esplicito e pubblico. Sarebbe opportuno che si scusasse  per la guerra contro i cellulari e per l’intero operato di Fioroni, che si cospargesse il capo di cenere ripensando alla Buona scuola di Renzi, che cominciasse a chiedere scusa a chi ha provato a cambiare qualcosa in meglio ed è stato subissato di insulti e persino minacce di morte, oltre a dover patire l’isolamento e lo scherno all’interno della stessa maggioranza di allora. Sarebbe opportuno che venisse proposto un patto educativo serio, che si desse voce agli educatori, che si rimettesse la scuola al centro di ogni dibattito pubblico, che non si parlasse d’altro o quasi, che diventasse l’ossessione di chi dice di volere un Paese migliore. Sarebbe opportuno che si cominciassero ad affrontare temi come gli stipendi miserevoli degli insegnanti, senza la pretesa di dividere ulteriormente una categoria già lacerata e impegnandosi, ad esempio, a garantire un’indennità di trasferta o un canone agevolato per gli affitti a quei docenti che dal Sud sono costretti a trasferirsi al Nord per le ragioni più disparate. Sarebbe una gran cosa se si parlasse di merito non in termini di clava, puntando a fare del male e a mettere in competizione gli studenti e le singole scuole, in un tutti contro tutti che completa l’opera di distruzione avviata circa trent’anni fa, cui, ribadiamo, la sinistra non è stata minimamente estranea. Sarebbe il caso di dire che l’INVALSI ha ampiamente stancato e che questi controlli dall’alto non hanno senso, non bastando certo una verifica estemporanea a stabilire le conoscenze e le competenze effettive di ragazze e ragazzi. Sarebbe ora di smetterla con i voti e di introdurre i livelli di apprendimento, perché nessuno è un tuttologo e, anzi, capire le materie per cui si è maggiormente portati consente di orientarsi meglio in vista delle scelte future. Sarebbe bene garantire un programma di base per tutte e per tutti, lasciando a disposizione degli alunni un monte ore da gestire in maniera autonoma, al fine di studiare ciò che amano di più e di inseguire i propri sogni. Sarebbe una splendida cosa se la si smettesse di andare a cercare sempre in Finlandia la perfezione, dato che di realtà che puntano sulla felicità, il benessere, l’inclusione, il rifiuto della bocciatura, il no all’esclusione e la valorizzazione della persona in ogni singolo istante ne abbiamo anche da noi, più di quante non pensiamo, nel silenzio colpevole della nostra categoria, sempre votata al sensazionalismo e alla denuncia, spesso fatta male, di ciò che non funziona. Bisognerebbe impegnarsi, poi, affinché famiglie, studenti, insegnanti, presidi e anche il personale ATA remassero tutti nella stessa direzione, perché solo così si cresce come comunità, prendendosi per mano e costituendo un antidoto alla barbarie che dilaga ormai pressoché ovunque. Infine servirebbe la buona politica, che rendesse le pratiche migliori universali, attraverso proposte di legge mirate, e non affidate alle qualità dei singoli, perché non possiamo permetterci un’Italia a più velocità in cui nella scuola del preside illuminato si va avanti a suon di educazione digitale, cooperative learning e altre mille pratiche innovative, con tanto di aule attrezzate ad hoc e lezioni splendide in cui il bambino o il ragazzo sono protagonisti dall’inizio alla fine, mentre da altre parti si rimane indietro, in nome di un passatismo antidiluviano che favorisce unicamente la dispersione scolastica. Sosteneva Victor Hugo che aprire una scuola significa chiudere una prigione. Aggiungeva Gesualdo Bufalino che la mafia sarà sconfitta da un esercito di maestre elementari. Abbiamo avuto la scuola democratica e le più grandi pedagogiste al mondo ma, purtroppo, ce ne siamo dimenticati. Se vogliamo costruire un Paese diverso e più umano, in cui i giovani vogliano restare e che si prenda cura di non far fuggire nessuno all’estero, di accogliere i nuovi italiani, di includerli, di far studiare anche la letteratura di altri continenti e non solo la nostra, in cui non ci siano più classi pollaio e vergogne di varia natura, dobbiamo tuttavia pretenderlo come cittadinanza attiva, chiedendo che l’investimento per l’istruzione sia portato ben al di sopra della media europea e rinnovando innanzitutto strutture fatiscenti e, in alcuni casi, addirittura pericolanti. Chiunque non ponga questi temi al centro della propria agenda politica non merita né il nostro voto né la nostra considerazione. Se questo governo vuole regolare i conti con la scuola e farne la bandiera del suo “divide et impera”, noi dobbiamo fare l’opposto. Ha affermato in un’intervista a Repubblica la professoressa Anna Mattiello, docente dell’istituto Davide Sannino di Ponticelli: “Qui ho capito quanto sia indispensabile la scuola. Quella pubblica, libera, l’unica cosa che salva chi è destinato a non salvarsi. Raccontiamo ai ragazzi che qui dentro c’è lo Stato più giusto: qui dentro devono sentirsi uguali a quelli nati a Milano o a Roma, qui possono prendere la loro vita in mano”. E noi abbiamo il dovere di supportare, valorizzare e dare voce a insegnanti come Anna, perché se questo disgraziato Paese avrà un futuro, il merito sarà quasi interamente loro.


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