Oltre centomila donne e uomini a Verona per dire che: “La nostra volontà è quella di non tornare indietro: Non una di meno”

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Ripubblichiamo questo lungo reportage sul Congresso delle Famiglie che si era tenuto a Verona nel 2019 in cui Lorenzo Fontana al quel tempo ricopriva l’incarico di ministro per la Famglia e la Disabilità, uno dei promotori e relatore. Il clima vissuto in quella occasione era di profondo disagio per le tesi che i partecipanti al Congresso mostravano di possedere. Ora il nuovo presidente della Camera, alla luce di quanto dichiarato in precedenza in molteplici occasioni su omosessualità, genitorialità, discrminazione e intolleranza verso gli altri, i “diversi” e tutte quelle categorie di cittadini e cittadine che secondo l’onorevole Fontana non devono avere gli stessi diritti sanciti dalla Costituzione, è sicuramente fonte di preoccupazione per chi, invece, difende una società inclusiva e democratica in cui ogni persona ha diritti e doveri come tutti gli altri. Non solo chi rispecchia la morale dettata da un preciso pensiero politico. Chi ricopre cariche istituzionali deve avere la capacità di comprendere e dialogare con l’intera società. Esternazioni così estremiste lette ed ascoltate in precedenza non depongono a favore di un clima sereno di cui tutti avremmo bisogno.

 

Il giorno dopo di “Non una di meno: Verona città transfemminista”, l’eco dell’imponente corteo di Verona si percepisce ancora sui media e nei social in particolare ma anche tra i partecipanti, testimoni oculari e preziosi che confermano l’affluenza record, smentendo le cifre ufficiali fornite alla stampa ieri: dalle 20 alle 30 mila secondo la Questura. Quando è stato possibile visionare le registrazioni video dell’intero percorso, partito dalla stazione di Porta Nuova per concludersi a Porta Vescovo, quattro ore dopo, la realtà dice ben altro. La stessa Digos di Verona conferma la partecipazione straordinaria: «Mai vista una manifestazione così numerosa in città». Centomila è la cifra ormai confermata per chi ha organizzato la marcia di protesta sulla quale convergono anche esperti e agenti di pubblica sicurezza come un vigile urbano che spiega: «30mila le presenze segnalate in arrivo da altre città di cui eravamo a conoscenza (pullman e treni da Roma Milano, Bologna, Torino, ndr) a cui si sono aggiunti tra residenti in città e altri arrivati senza comunicarcelo almeno altri 50mila». Il numero viene confermato anche dai siti on line dei quotidiani dove appaiono titoli come “Centomila le presenze”. Qualcuno scrive anche 150 mila ma  l’importanza della manifestazione non si ferma solo al rimbalzo dei numeri tra fonti diverse, quanto, invece, all’adesione record per difendere i diritti acquisiti. Senza distinzioni di genere.

Una delle portavoci di “Non una di meno” è Silvia che chiede di non pubblicare il cognome in quanto parla a nome del collettivo e non individuale: «Siamo entusiaste per la partecipazione così elevata e non possiamo che dirci soddisfatte. Un’adesione che non è solo un risultato per le tutte le femministe! Le donne non possono essere obbligate se non vogliono diventare madri come pretenderebbe un’imposizione socio culturale predominante. Quello che abbiamo bisogno è una ridistribuzione più equa del lavoro  e della cura per creare una rete capace di offrire nella vita di tutte la giusta solidarietà nei confronti di tutte le donne. Siamo molto preoccupate per l’ondata reazionaria transazionale (il riferimento è rivolto ai movimenti di estrema destra in altre nazioni europee e alla partecipazione al World Congress of Families di Verona, il “Congresso delle Famiglie”, ndr) che ha connessioni con stati come la Russia, la gestione da parte di una lobby finanziaria dell’ultra destra americana. Anche il nostro movimento è transazionale e in “Non una di meno” abbiamo attiviste  provenienti dalla Polonia, Argentina, Irlanda, Francia e dai Paesi Bassi, Inghilterra, arrivate a Verona per partecipare all’Assemblea Femminista Internazionale. Con noi c’è anche Marta Dillon  di “Ni Una Menos proveniente dall’Argentina.  In Polonia la legge che promulgava la possibilità di abortire è stata bocciata e su questo noi faremo sentire tutta la nostra protesta».

La narrazione della giornata offre la possibilità di far parlare semplici cittadini e cittadine, come nel caso di Franca che risponde a nome del gruppo “Indietro, march!”, (movimento di “sensibilizzazione con l’obiettivo di svelare l’ideologia conservatrice e integralista delle organizzazioni che promuovono il Wcf”), aggregatosi al movimento “I sentinelli laci e antifascisti” di Milano, un’organizzazione nata spontaneamente: «Rispetto agli ultimi anni è una bellissima manifestazione  e anche un po’ incazzata che è segno evidente della reazione sempre più diffusa. Questa di Verona supera di gran lunga tutte le altre compresa quella di Milano di quattro, cinque anni fa. Siamo qui per aver aderito alla chiamata alla “rivolta” perché quando si toccano i diritti acquisiti, dopo tutto quello che abbiamo fatto per ottenerli, non intendiamo tornare indietro. La società è cambiata e bisogna prenderne atto e dare la possibilità di mantenere la libertà di scelta  individuale e tutelarla. Voglio anche esprimere – prosegue Francache sono contro le quote rose una “concessione” e pure arrabbiata con la presidente del Senato Maria Elisabetta Alberti Casellati, una donna  che non è riuscita far promuovere la legge contro il femminicidio. Non è passato nemmeno l’emendamento».

Dall’altoparlante posizionato su uno dei quattro camion staffetta che seguivano il flusso delle persone veniva trasmessa musica e prese di posizione registrate con l’intento di spiegare il significato della protesta: «Alla base di ogni atto di violenza e intimidazione c’è la presunzione del potere  e della sua maleducazione a condividere la coercizione!».Tante donne, femministe ma anche semplici cittadine, madri di famiglia, responsabili di organizzazioni non governative, volontarie e molti uomini al loro fianco come una coppia composta da marito e moglie insieme ai loro figli arrivati dalla provincia in treno: «Bisogna partecipare perché non esiste differenza alcuna tra le persone che si vogliono bene e non vanno messi più in discussione i principi egualitari, i diritti civili delle coppie sia etero che omosessuali. O limitare la libertà individuale».

Armando Petrosino è un ex attivista politico ed ex segretario  della Lega studenti medi della FGCI veronese che racconta di aver deciso di partecipare dopo anni di auto esclusione: « Penso che la misura è colma e ho deciso di venire perché sono preoccupato per quello che sta accadendo alla mia generazione costellata da politici di sinistra e di destra che reputo incapaci, nonostante continui a sottovalutarlo dentro di me. Non mi sento più appartenente a nessuna formazione politica. Deluso da tutti. Negli anni mi sono occupato di altro, occupandomi di musica anche a Radio Popolare però la passione della politica è sempre sempre rimasta dentro di me».

Luisa Betti Dakli, giornalista  esperta di diritti umani (è anche una delle firme  di Articolo21) ha partecipato a tutte le iniziative di “Non una di meno” ed è stata la  relatrice di un intervento dal palco e pubblicato anche sul Corriere.it nel blog “La 27esima ora”: «Oggi siamo qui perché è in corso un attacco globale ai diritti, a cominciare da quelli delle donne e dai diritti civili. Nel mondo autoritarismo, populismo e intolleranza dilagano: dagli Stati Uniti con Trump, al fascista Bolsonaro in Brasile, mentre in Europa Ungheria e Polonia continuano il loro processo di limitazione delle libertà dei cittadini e soprattutto delle cittadine, sull’esempio della Russia di Putin, con un processo iniziato adesso anche in Italia grazie alla Lega che è arrivata al governo. Gruppi politici che una volta arrivati al potere cercano di instaurare dittature a tutti gli effetti, cancellando lo stato di diritto con una demagogia che parte dallo spauracchio dell’invasione migratoria, speculando su gente che scappa da guerre che l’Occidente ha scatenato nei loro paesi. Qui oggi questi gruppi si sono riuniti in quello che viene chiamato Il Congresso Mondiale delle Famiglie, un raduno che è nato in Russia nel 1997 da un americano e un russo che volevano svegliare e guidare la destra cristiana globale dopo la caduta dell’Urss. Un raduno che nel tempo è diventato l’unione di tutti i gruppi dell’estrema destra, anche filonazisti, e di movimenti ultracattolici, ortodossi reazionari ed evangelici americani, che nulla hanno a che vedere con la cristianità ma che dalla Russia fino agli Stati Uniti, attraversano l’Europa come una falce nera macchiata del sangue della nostra libertà».

Una relazione molto articolata che segnala come il Congresso sia «un ribaltamento dei piani che è del tutto inaccettabile! che porta come fiore all’occhiello rappresentanti di paesi come l’Ungheria, dove il presidente Orban cerca di imporre alle donne di fare figli perché a fronte delle migrazioni lui antepone la nascita di neonati bianchi e ungheresi. Un presidente che ha tolto, come uno dei suoi primi atti, tutti gli studi di genere nelle università e dove la Convenzione di Istanbul contro la violenza sulle donne non è passata perché ledeva la famiglia tradizionale, e questo mentre campeggiava sui giornali lo scandalo di un deputato del suo partito che aveva massacrato la moglie fino a romperle tutte le ossa. Un congresso che ha invitato un paese come la Polonia, dove il governo dell’ultradestra Diritto e Giustizia cerca continuamente di cancellare del tutto la legge già restrittiva sull’aborto, e dove le attiviste vengono picchiate pubblicamente per strada senza che nessuno intervenga. Un Paese che fa perquisizioni nei centri antiviolenza, a cui toglie i finanziamenti affinché le donne rimangano a casa a prendere le botte. Che cos’è questo se non fascismo? (…) – dove conclude – ed è per questo che i giornalisti e le giornaliste di Articolo21 aderiscono a pieno a questa manifestazione di oggi. Qui in Italia il ministro degli interni Salvini ha strumentalizzato la morte atroce di due ragazze uccise, Pamela e Desirée, usando i loro corpi uccisi in nome di una politica securitaria per incitare all’odio, mentre il suo partito, dagli spalti del governo, cerca da mesi d’imporre una riforma della famiglia con il ddl Pillon che rende impossibile divorziare e che espone donne e bambini alla violenza domestica, e che avalla la pedofilia. Il vento sta cambiando perché le donne hanno cominciato a protestare, a scendere in piazza insieme agli uomini, e a guidare un movimento fortissimo che non arretra. Oggi essere qui significa ricordare al mondo che le donne rappresentano l’unica vera chiave del cambiamento per un futuro libero dal patriarcato e libero anche da gente che vuole limitare la libertà di cittadini e cittadine in nome di un nemico inesistente. Essere qui oggi significa essere contro il loro oscurantismo, contro ogni tipo di razzismo, contro la violenza sulle donne, contro ogni tipo di sopraffazione, discriminazione, diseguaglianza, intolleranza e disumanità verso il prossimo. E questo in nome di una libertà che non sarà facile portare via in nessun modo».

Molte le associazioni presenti tra le quali “Polis aperta” associazione nata nel 2005 per volontà di agenti delle forze dell’ordine e nelle forze armate e condividono oltre al lavoro, anche l’orientamento affettivo omosessuale.
“L’European Gay Police Network”.L’obiettivo è quello “di lottare contro tutte le discriminazioni e contro quelle fondate sull’orientamento sessuale e l’identità di genere. A Verona sono stati accolti anche dalla senatrice Monica Cirinnà la quale ha partecipato al corteo insieme a Laura Boldrini e Livia Turco.

Luisa Betti Dakli ha partecipato anche alla presentazione del libro “I nostri corpi come anticorpi – La risposta delle donne alla reazione della destra” di Beatrice Brignone e Francesca Druetti (con contributi di Giulia Siviero e Claudia Torrisi, editore People 2019),  nella sede della Società Cooperativa Libre! di Verona. La giornalista e scrittrice ha curato la postfazione del testo dal titolo: “Sovranismo all’attacco: prima le donne e i bambini”, intrattenendo il pubblico in una conversazione a più voci. In libreria incontriamo Lia Arrigoni che fa parte della Cooperativa composta da 466 soci e collabora con anche con il Centro studi e ricerca Politesse della Facoltà di Filosofia dell’Università di Verona, in cui lavorano Lorenzo Bernini e Massimo Prearo. Una realtà editoriale etica e aperta ad ogni contributo. La città intanto salutava i partecipanti   al corteo con applausi dalle finestre e ai bordi delle strade. Verona ha dimostrato a tutta l’Italia una lezione di civiltà e democrazia che non potrà essere archiviata come semplice fatto di cronaca. “La nostra volontà è quella di non tornare indietro”: la frase scritta su un cartello di una giovane manifestante siglava la fine.


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