Donne d’America nel racconto di scrittrici da scoprire

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Giulia Caminito e Paola Moretti hanno curato un libro godibilissimo e di grande interesse, “Donne d’America”, Bompiani 2022. Si tratta di un’antologia  di racconti di diciotto scrittrici americane vissute a cavallo di  due secoli, all’incirca nei cento anni tra il 1850 e il 1950, anni fondamentali per il costituirsi dell’America, così come noi oggi la conosciamo.

Delle diciotto scrittrici solo alcune sono note al pubblico italiano, anche perché qualche  loro opera è stata tradotta, ma la maggior parte non sono conosciute e non sono mai state tradotte in italiano. Sono donne, in alcuni casi di umili origini, che tuttavia per situazioni fortuite e con grandi sacrifici hanno conseguito un’istruzione superiore o addirittura frequentato il college. Scrittrici prolifiche, hanno spesso intrapreso una carriera giornalistica  raggiungendo in molti casi una certa notorietà in vita con raccolte di   racconti e anche produzione di romanzi, ma sono state per lo più dimenticate e non più pubblicate dopo la loro morte. Molte di esse furono impegnate in movimenti per i diritti civili delle donne e femministi e in gruppi antirazzisti che lottavano per i diritti dei neri, dei nativi americani e di altre minoranze. Per conoscere le vite ricche di esperienze e di impegno di queste scrittrici sono preziose le note biografiche su ciascuna di esse nella parte finale del libro , così come è utile la “Cronologia  storica e letteraria americana” che Giulia Caminito ha realizzato in coda al testo. Come rivelano le curatrici nell’introduzione, la ricerca e la scelta delle autrici nasce proprio dall’osservazione di quel secolo fondamentale per la storia degli Stati Uniti e anche dalla considerazione della sua letteratura in cui emergono autori del calibro di London, Melville, Twain, Scott Fitzgerald e molti altri. In seguito a ciò le curatrici si sono poste “ la stessa domanda che molte e molti si stanno facendo: e intanto le donne? Dove erano , cosa facevano, chi erano, cosa scrivevano, per chi scrivevano, di chi scrivevano, dove scrivevano?” Forse una domanda  ossessiva, un puntiglio dicono le curatrici, ma è stato lo stimolo a una ricerca che le ha condotte alla conclusione  “che le donne c’erano e scrivevano, eccome se scrivevano”.  I racconti sono vari e interessanti, ma alcuni colpiscono particolarmente per lo sguardo indagatore dell’animo umano, delle relazioni e del mondo dell’epoca.

Alice Brown ha una vita interessante durante la quale ha avuto una lunga amicizia con una poetessa di successo, Louse Imogen Guiney, insieme alla quale ha molto viaggiato e poi fondato la Women’s  Rest Tour Association, per offrire informazioni affidabili a donne che volevano viaggiare da sole. E’ l’autrice di “All’ospizio” in cui descrive la impari relazione matrimoniale tra Josh Marden e Laddy Ann Crane e la dedizione totale di Laddy Ann al marito nonostante i suoi comportamenti assurdi.

Willa Carter è l’autrice di “Il profilo”, la storia del pittore Aaron Dunlap e della strana contraddizione tra il culto della bellezza femminile che manifesta nella sua opera e i suoi due matrimoni con donne dal volto sfigurato.

Kate Chopin ebbe sei figli, cominciò a scrivere per superare la depressione della morte del marito e per far fronte alle difficoltà economiche. Scrisse più di cento racconti e conseguì il successo con il suo secondo romanzo “Il risveglio”, per il quale è nota anche in Italia. Nell’antologia compare con il racconto breve “La storia di un’ora” pervaso da una sottile macabra ironia. Alice Denbar Nelson collaborò fin da giovane in organizzazioni sociali e culturali, militò nel movimento per i diritti civili delle donne, ebbe il ruolo  di segretaria esecutiva  nell’American Friends Interracial peace Committee. Scrive un simil – pamphlet, “La donna”,  in cui evidenzia i motivi per cui per le donne che lavorano e percepiscono un buon salario non ci sarebbe nessun motivo di interesse a sposarsi. Susan Glaspell partecipò al primo movimento artistico d’avanguardia degli USA con Upton Sinclair, Emma Goldman e John Reed. Fece parte di Heterodoxy, un gruppo femminista. Nel 1931 ottenne il Premio Pulitzer con “Alison’s House”, ispirato a Emily Dickinson. Nel libro compare con  l’ironico racconto “Una giuria di pari”, versione ridotta della sua famosa commedia “Trifles”, ispirata a un processo di una donna accusata per l’omicidio del marito, che lei seguì come giornalista. Nel racconto un gruppo di umili casalinghe chiamate a raccogliere alcuni effetti personali da mandare in carcere alla donna reclusa accusata dell’omicidio del marito, raccolgono nella sua casa indizi significativi più di quanto riesca al pubblico ministero della contea e allo sceriffo e agiscono per influenzare in modo determinante l’indagine a favore della donna.

Rebecca Harding ebbe un’intensa attività giornalistica, ma dopo la sua morte le sue opere, più di cinquecento, furono dimenticate . Ha ottenuto nuova fama nel 1972 quando  la Feminist Press ha ristampato “Vita nelle ferriere”, il racconto presente nell’antologia e che  in Italia è stato pubblicato più volte dagli anni duemila. Il racconto molto suggestivo è uno dei primi che ha rappresentato la dura vita degli operai delle ferriere, l’ambiente in cui si svolge la fatale vicenda senza via d’uscita di un povero addetto alle fornaci, il gallese Hugh Wolfe, che pur svolgendo un lavoro abbrutente racchiude in sé un’animo d’artista.

Il bellissimo racconto “La carta da parati gialla”, riferimento importante per il femminismo americano, è noto anche in Italia dove ha avuto negli anni più traduzioni. Racconta magistralmente un caso di depressione post – partum, di cui soffrì la stessa autrice dopo la nascita della figlia Katharine nel 1885. Charlotte Perkins Gilman è stata economista, sociologa, scrittrice, poeta e femminista utopista. In Italia è conosciuta anche la sua raccolta di racconti “Terra di lei” e recentemente è stato tradotto il suo romanzo utopista “ Muoviamo le montagne”.

Di forte impatto è il racconto autobiografico “I giorni di scuola di una giovane nativa americana” di Zitkala – Sa. Nata da padre bianco e da madre di origine sioux – dakota, visse i primi anni della sua vita con la madre, ma a otto anni venne prelevata dai missionari del White’s Manual Labor per farla studiare nel loro collegio. Nel racconto narra la sofferenza,  l’umiliazione, la violenza psicologica cui fu sottoposta nel  dover estirpare dal suo animo la cultura dakota e accogliere quella “americana”. Zitkala – Sa si laureò nel1895, poi studiò violino al Conservatorio. I suoi saggi e racconti vennero pubblicati su riviste nazionali. Lasciò l’insegnamento al college per seguire i bambini nelle riserve e, insieme al marito, operò in gruppi impegnati per i diritti dei nativi. Per tutta la vita combatté l’occidentalizzazione dei nativi americani e i suoi scritti ebbero una forte influenza fino ad oggi in America.

Mary E. Wilkins Freeman ebbe una vita complessa e cominciò a scrivere sia per le condizioni economiche della famiglia d’ origine sia, in un periodo della sua varia vita, per mantenere un marito alcolizzato. Ebbe una produzione copiosa di racconti, romanzi, poesie, opere teatrali. Già anziana venne insignita della William Dean Howells Gold Medal for Ficton e nel 1926 entrò a far parte del National Institute of Arts and Letters. In Italia è conosciuta soprattutto per i racconti sovrannaturali, ma il testo che compare nell’antologia “La rivolta di ‘madre’” è una storia realistica che, ancora una volta, penetra nelle relazioni e nei ruoli impari fra donne e uomini nel matrimonio. Il racconto mostra la tenace e creativa ribellione di una donna a un marito egoista e ostinato che dopo quarant’anni non mantiene ancora la promessa di costruire una casa adeguata alla famiglia. Nell’antologia compaiono altre due autrici note e tradotte come Djuna Barnes e Edith Wharton. Vi sono inoltre Gwendolyn Bennett, impegnata in gruppi antirazziali, subì soprusi e fu indagata ingiustamente dall’ FBI come spia comunista; Jessy Redmon Fauset che parla della schiavitù con un racconto dal taglio originale;  Zora Neale Hurston , che nel 2002 è stata inclusa dallo studioso Molefi Kete Asante nella lista dei cento più grandi afroamericani della storia americana; Sui Sin Far  che scrisse articoli e racconti sul razzismo verso cinesi canadesi e i cinesi americani , scritti che l’hanno resa un punto di riferimento per le generazioni successive; Virginia Tracy che crebbe tra teatranti, artisti e scrittori e fu anche sceneggiatrice per la Fox Film Corporation;  Madeline Yale Wynne,le cui opere non sono mai state tradotte in italiano e che qui compare con il racconto sovrannaturale “La stanzetta”,  lo stesso titolo con cui uscì poi una raccolta di racconti. L’antologia presenta dunque testi vari, diversi per stile e contenuto, ma rivelano grandi capacità di analisi psicologiche e sociali da parte delle autrici che ci raccontano “un’America di donne che la narrano, la scrutano, la subiscono, ma cercano di reagire agli stereotipi, agli obblighi, alle restrizioni”. Leggendo queste autrici sentiamo un debito di gratitudine verso donne  nel cui pensiero riconosciamo le radici dei movimenti femminismi e antirazziali.

Molto attento è stato il lavoro di traduzione ,che ha voluto essere non solo un lavoro di traduzione linguistica, ma anche di mediazione culturale. Pur ponendosi  l’obiettivo di restare fedele al testo originale e di tener conto della collocazione sociale e cronologica del testo nella storia, si è tenuto conto della sensibilità contemporanea sostituendo alcuni termini dispregiativi rispetto alle origini dei soggetti con termini che rispecchiano il dibattito che nel tempo si è sviluppato attorno al concetto di razza e tengono conto delle rivendicazioni delle persone razzializzate.


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