Giulietti (Fnsi): “Giornalisti e amministratori locali sotto tiro perché impegnati ad illuminare le zone d’ombra”. Il dossier di Avviso Pubblico

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Secondo i dati censiti dal Ministero dell’Interno, nel 2021 sono stati 232 gli episodi di intimidazione nei confronti di giornalisti sul territorio italiano, con un incremento del 42% rispetto all’anno precedente. Il maggior numero di eventi è stato registrato – nell’ordine – in Lazio, Lombardia,Toscana, Sicilia ed Emilia-Romagna. Dal report elaborato dal Dipartimento della Pubblica Sicurezza emerge come il 44% delle minacce sia stato perpetrato mediante piattaforme web (mail, social network).Per analizzare il fenomeno e metterlo a confronto con quello che investe gli amministratori locali, abbiamo intervistato Giuseppe Giulietti, Presidente della FNSI – Federazione Nazionale della Stampa Italiana.

Il Ministero dell’Interno segnala un trend in netta crescita, relativamente agli atti intimidatori rivolti ai giornalisti. Cosa accade nel resto del mondo?

L’aumento delle minacce ai cronisti è un trend globale, lo segnalano tutti i rapporti internazionali: dal Messico alla Colombia, dalla Siria allo Yemen fino all’Afghanistan. C’è un’insofferenza crescente nei confronti dell’informazione, un’insofferenza provata dalle mafie dislocate in ogni parte del mondo,da regimi corrotti e dal risorgente squadrismo nazifascista, aspetto quest’ultimo di cui si parla troppo poco. Cosa unisce tutte queste organizzazioni? L’amore per il buio e l’oscurità, il timore che la luce dell’informazione, così come l’impegno di amministratori locali onesti, finisca per smascherare attività illegali.

Perché i giornalisti finiscono sotto tiro nel nostro Paese?

Che la situazione italiana stia peggiorando ce lo dice non solo il Ministero dell’Interno, ma anche il Consiglio d’Europa. Attualmente sono 30 i giornalisti che in Italia vivono sotto scorta, minacciati dalla criminalità organizzata ma anche dalle organizzazioni neofasciste. Se aggiungiamo a questa lista le “querele-bavaglio” e il tentativo di svelare le fonti dei giornalisti, abrogando il segreto professionale, ecco che l’Italia crolla nelle classifiche sulla libertà di informazione. Scontiamo una mancanza di provvedimenti a tutela di giornalisti che indagano su mafie e corruzione. Cronisti che, è sempre importante ricordarlo, molto spesso sono precari che vengono pagati meno di dieci euro al pezzo. Si lavora al di sotto della “dignità costituzionale”, perché la legge sull’equo compenso
non è mai stata approvata. I dati del Ministero dell’Interno ci dicono anche che i giornalisti, come gli amministratori locali, sono finiti sotto il tiro dei “no-vax”, movimenti che talvolta si sovrappongono a quelli di estrema destra: aggressioni a Trieste, in Toscana, contro cronisti della Rai. E potrei continuare… In Italia le fonti di minaccia, purtroppo, sono molto variegate.

Minacce a giornalisti ed amministratori locali sono sovrapponibili?

Mafie, corruzione, gestione illecita degli appalti sono fenomeni che hanno bisogno di indifferenza, silenzi ed omissioni per prosperare. Giornalisti, sindaci, questori, poliziotti e magistrati sono
disturbatori, ciascuno nel proprio ruolo. La diretta conseguenza è che vi sono aree geografiche in cui i casi di intimidazione agli amministratori locali sono sovrapponibili alle minacce ricevute dai cronisti: dalla Sicilia alla provincia di Roma, dalla Campania al Veneto. La reazione a questi atti non deve essere corporativa, ma collettiva. La scorta mediatica deve essere assicurata ad ogni cittadino che finisce nel mirino per la sua opera di legalità. Ogni atto intimidatorio non è una ferita inferta al singolo, ma a tutta la collettività.

Quasi metà delle intimidazioni corre sui social. Un altro dato in comune con gli amministratori locali. Come si argina questa deriva?
È un fenomeno particolarmente grave e che, tra le altre cose, molto spesso va a colpire le donne: non vi è solo la volontà di intimidire, ma l’esercizio di un sessismo volgare con l’obiettivo di metterle nel mirino in quanto donne. Questa deriva si argina non considerando la Rete e i social network come luoghi in cui vige l’anarchia e in cui si può scrivere ciò che si vuole, seminando odio e incitando azioni violente. Un’idea che si mischia con tutte le teorie del sovranismo che minano le fondamenta della democrazia e che perpetrano il messaggio secondo cui le mediazioni – il Parlamento, i sindacati, le associazioni – sarebbero inutili. A cosa tende questo pensiero? Alla figura del leader, del capo che parla alla folla dal balcone mediatico, senza filtri, senza ‘rompiscatole’. È uno schema estremamente pericoloso, perché fa coincidere liberismo e sovranismo populista, uccidendo l’idea di mediazione. È un tema che va portato nelle sedi competenti. Non è accettabile che questi spazi pubblici di comunicazione siano in mano a privati e non vi sia alcuna Agenzia internazionale che possa invocare regole e chiederne il rispetto.

C’è una storia fra le tante, troppe, di giornalisti sotto scorta che è necessario ricordare?

È una storia collettiva quella dei giornalisti minacciati, ma faccio un nome di cui si è parlato pochissimo:Mimmo Rubio di Arzano, in provincia di Napoli, territorio che ha visto il Comune commissariato per infiltrazioni mafiose, in cui i commissari sono stati minacciati assieme al Comandante della Polizia locale. I boss della zona si sono recati sotto casa di Mimmo a bordo delle loro moto e gli hanno fatto “l’inchino”, levandosi i caschi. Oggi Rubio è sotto scorta. Come Don Patricello a Caivano, come il Comandante Chiariello o come la cronista Marilena Natale. Tutti nel raggio di pochi chilometri. Ci sono ampie zone del territorio nazionale, come la Terra dei Fuochi o la provincia di Foggia, in cui giornalisti e amministratori sono costantemente sotto tiro. Senza dimenticare pezzi del territorio in Emilia-Romagna, Veneto e Lombardia.
Quello del giornalista è un mestiere tanto meraviglioso quanto faticoso. In Italia più che in altri contesti. Cosa chiede la FNSI al governo per sostenere la professione?

Sono dieci anni che si attende l’applicazione dell’accordo raggiunto sull’equo compenso. Oggi i cronisti vengono pagati anche cinque euro lordi per i loro articoli e i video che realizzano: è semplicemente indecoroso, ed è necessario dare una tariffa minima alla dignità professionale di migliaia di giornalisti. Alcuni di loro oggi sono in Ucraina, in zona di guerra. Se anche una scheggia colpisse la loro attrezzatura, dovrebbero ripagarla di tasca propria. È inaccettabile. Un altro provvedimento atteso da tempo è sulle querele-bavaglio: cause per milioni di euro con il solo intento di chiudere la bocca ai cronisti. Non parlo delle cause legittime, ma di quelle preventive rivolte al giornalista perché sta investigando su un qualcosa che il querelante ha interesse a mantenere
nascosto. Sigfrido Ranucci di Report, solo per citare un esempio, ha ricevuto oltre 150 di queste querele, la stragrande maggioranza delle quali sono state archiviate. Occorre che chi querela con l’intento di intimidire, se la causa viene archiviata, lasci nelle casse pubbliche – a disposizione di progetti per la collettività – metà di quanto pretendeva. È un altro provvedimento fermo alle Camere, la prima volta se ne parlò addirittura nel 2002. Senza dimenticare che la legge sull’editoria è ferma al 1981. Ogni anno il fondo viene svuotato, ma chi ne paga le conseguenze sono i giornali del volontariato, del terzo settore, quelle testate che danno voce alle diversità sui territori, giornali che gli amministratori locali conoscono bene. Se continua così, fra qualche anno avremo 3-4 gruppi editoriali in grado di controllare tutto il mondo dell’informazione. Alla faccia del conflitto di interessi…
(Nella foto la presentazione di questa mattina)
(Intervista tratta dal Rapporto di Avviso Pubblico)

https://www.fnsi.it/upload/70/70efdf2ec9b086079795c442636b55fb/31be74c383932494e0a0e5adf9e37f3d.pdf


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