La giornalista ripercorre le tappe del suo calvario giudiziario. «Querelata diverse volte, alcuni procedimenti archiviati, il giornale sequestrato e poi dissequestrato, un processo da cui sono uscita assolta con formula piena. E ora, per gli stessi fatti e per la stessa inchiesta giornalistica, sono in piedi altri tre processi», scrive.
di Marilù Mastrogiovanni*
Ci sono storie che non devono essere raccontate. Se lo fai, rischi, troppo. Questa storia è una di quelle che non dovevano essere raccontate: non dovevo ravanare all’interno del brogliaccio dell’operazione “Tam Tam”, che con altre ha decapitato il clan Rosafio-Giannelli, della sacra corona unita, la SCU, la quarta mafia, radicata nel favoloso Salento.
Non dovevo scrivere che gli inquirenti, i Carabinieri, avevano scritto un’informativa, a seguito di attività di intercettazioni telefoniche e ambientali, in cui lanciavano un allarme perché l’intero tessuto sociale del basso Salento era fortemente infiltrato dal clan, attraverso una vasta operazione di consenso sociale, portata avanti anche grazie alle amicizie con politici, imprenditori, esponenti delle associazioni culturali.
Non dovevo scrivere che uno di quegli esponenti era un ex consigliere comunale di Casarano, eletto tra le fila della maggioranza, nella lista personale dell’allora sindaco di Casarano, 20mila anime in provincia di Lecce.
E non dovevo scrivere che insieme a quel consigliere comunale, nella stessa lista del sindaco, erano stati eletti un assessore e una assessora. Uno di quei due assessori, all’epoca dei fatti vicesindaco di Casarano, è oggi sindaco. Il suo nome è Ottavio De Nuzzo. Tutto questo non dovevo scriverlo, perché sono stata querelata diverse volte: alcuni procedimenti archiviati, il mio giornale sequestrato e poi dissequestrato dopo 45 giorni, un processo da cui sono uscita assolta con formula piena. Ora, per gli stessi fatti e per la stessa inchiesta giornalistica, sono in piedi altri tre processi.
È evidente che per molti dei cittadini che abitano quel pezzo di terra tutto questo è irrilevante.
Eppure, sarebbe utile rileggere le dichiarazioni messe a verbale dall’ex boss della SCU ora collaboratore di giustizia Tommaso Montedoro, che a processo, nel corso di un’udienza del processo seguito all’operazione “Diarchia”, ha detto chiaramente che quel consigliere comunale di cui non dovevo scrivere era «amico nostro».
Ma non dovevo scriverlo, perché proprio per questo ho ben tre processi per diffamazione sulle spalle. Sono sicura del mio lavoro, della mia deontologia professionale, della mia buona fede e dell’alto valore etico di quello che ho fatto e faccio.
Comunque vadano questi ulteriori processi, il giornalismo avrà vinto ma avranno perso in tanti. Avranno perso tutti quelli che pensano che la legge è dettata dagli “amici nostri” e che per questo stanno zitti e chinano la testa. Avranno perso anche quelli che non la pensano così, ma stanno zitti per quieto vivere. Avranno perso quelli che pensano che per ribellarsi basta fare un post su Facebook o un comunicato stampa, per poi continuare a fare la vita di sempre (troppi impegni, troppo lavoro…).
Intanto i ragazzi e le ragazze vanno via, perché qui non c’è spazio per sognare.
Grazie a FNSI che tiene viva l’attenzione sul fenomeno drammatico delle querele temerarie: la proposta di legge contro le querele temerarie è ferma da anni in Parlamento ma ai nostri politici non interessa.
Grazie all’avvocato Roberto Eustachio Sisto, dello Studio FPS del foro di Bari, sempre al mio fianco, che crede nei valori costituzionali e nel processo come leale confronto-scontro tra accusa e difesa.
Andiamo avanti.
*Marilù Mastrogiovanni è la direttrice del giornale online “Il Tacco d’Italia”