Omicidio Calabresi 50 anni dopo, il ricordo del figlio Mario

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Nella giornata in cui ricorre il cinquantesimo anniversario della morte del commissario Luigi Calabresi, il ricordo del figlio Mario emerge dagli archivi fotografici di Publifoto Intesa Sanpaolo.
Di seguito un estratto del racconto che Mario Calabresi ha affidato ai social, pubblicato integralmente nella sua newsletter Altre storie.
 
«L’unico ricordo che ho di mio padre è quello dell’ultima domenica mattina passata insieme. La data l’ho ricostruita grazie all’agenda di mia madre: “14 maggio: Gigi porta Mario a vedere la sfilata degli alpini. Rientra con paste, gelato e rose”. 
Io ero sulle sue spalle, ero un po’ spaventato dalla calca, ma ero incredibilmente attratto dalla grande apertura dorata di un trombone. Lui parlò con qualcuno, si piegò sul trombone e me lo fece toccare, solo per un attimo. Tornando indietro io ero felice, era una sensazione fortissima, una sensazione di pienezza. È l’eredità che mi ha lasciato. Mi ha regalato la tranquillità in mezzo al disordine, una specie di pace che mi prende quando tutto intorno accelera e dentro di me le cose si fermano, si chiarificano.
 
A ottobre del 2019 entrai per la prima volta in un luogo meraviglioso: l’Archivio #Publifoto. Avevo preso appuntamento per pura curiosità ma da quel primo incontro, seguito da molti altri, sarebbe poi nata una mostra sulla Milano bombardata del 1943.
Alle archiviste chiesi di vedere che servizi erano stati fatti il giorno della morte di mio padre e poi ai funerali. Dopo un’istante però sentii un’urgenza di tornare indietro, avevo fretta di andare alla domenica prima, il 14 maggio a Milano.
Dopo un po’ ho capito cosa stessi cercando: un bambino sulle spalle del padre durante la sfilata degli alpini. Ne ho trovato uno con una testa e delle orecchie simili alle mie, aveva una maglia chiara e del padre si intuivano solo le spalle e una giacca grigia. Ho smesso di cercare. Sono rimasto in silenzio, improvvisamente calmato. Tutto era andato a posto.
Ho chiesto se fosse possibile stampare la foto più grande, sono andato a trovare mia madre e le ho chiesto: «Pensi che possa essere io?». «Ti somiglia, ma come possiamo saperlo davvero?». Siamo stati un po’ a guardare e a fare supposizioni e poi mi ha chiesto: «È importante sapere se eri proprio quello?». No, va bene così.»

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