Lettera a Papa Francesco dalla famiglia del ricercatore Ahmadreza Djalali. 11 maggio sit-in a Roma

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“Come famiglia di Ahmadreza, ti chiediamo umilmente, Papa Francesco, per favore, di aiutarci a risolvere il caso di Ahmadreza. Per favore se puoi, contatta il leader supremo dell’Iran l’Ayatollah Khamenei, e implora la grazia per Ahmadreza Djalali. Per favore, chiedigli di rilasciare direttamente Ahmadreza e lasciarlo tornare a casa dai suoi due figli e da sua moglie”.

Questo è solo uno stralcio della lettera che la famiglia del ricercatore Ahmadreza Djalali ha inviato lo scorso anno a Papa Francesco sollecitandolo a chiedere direttamente alla Guida Suprema iraniana Ali Khamenei di intervenire sul caso del loro congiunto, a rischio imminente di esecuzione a morte. Una lettera firmata dalla moglie del ricercatore Vida Merhannia e dai suoi due figli, che in questi disperati giorni di angoscia e turbamento hanno chiesto di essere rilanciata.

Vida in queste drammatiche ore si trova a Stoccolma con i figli dove la famiglia Djalali si era trasferita alla fine del 2015, dopo tre anni di lavoro e vita a Novara.

E proprio nella città di Novara il 10 maggio si terrà un sit-in alle 17,30 davanti al municipio di via Rosselli convocato dal Crimedim e dall’Università del Piemonte Orientale che per primi hanno denunciato il suo arresto, dal Comune di Novara di cui è cittadino onorario dal 2019, e da Amnesty International, sempre presente con campagne, raccolte di firme, lettere alla Repubblica islamica per il rilascio del medico ricercatore. Sarà presente anche Articolo21 e la presidente del Cpo Fnsi Mimma Caligaris. 

Riccardo Noury portavoce nazionale di Amnesty internazionale Italia, ha dichiarato «Lanceremo un nuovo disperato appello per Ahmadreza e siamo pronti a fare tutto il possibile fino all’ultimo per salvare la sua vita e consentirgli di tornare dalla sua famiglia».

Mercoledì 11 maggio alle ore 17,30 un altro sit-in è previsto a Roma davanti l’Ambasciata della Repubblica Islamica dell’Iran in Via Nomentana, 361.

Articolo21 da sempre accanto alla vicenda e alla famiglia del Dr. Djalili sarà presente chiedendo ancora una volta la sospensione della pena e il rilascio immediato del ricercatore.

L’avvocata di Djalali Mrs Halaleh Mousavian, ha fatto sapere che dagli uffici della procura iraniana è stato confermato l’ordine di esecuzione e si procederà al più presto possibile. Le autorità iraniane avevano annunciato nei giorni scorsi, che la condanna a morte del ricercatore verrà eseguita entro il 21 maggio dopo oltre 2180 giorni di detenzione.

Questa è la terza volta in tre anni che le autorità minacciano di portare a compimento la sentenza.

Il ricercatore di passaporto iraniano e svedese, che ha lavorato anche in Italia presso l’Università del Piemonte Orientale, è stato arrestato nel 2016 dai servizi segreti mentre si trovava in Iran per partecipare a una serie di seminari nelle università di Teheran e Shiraz.

Più volte si è visto rifiutare un avvocato di sua scelta. Sono state fatte forti pressioni su di lui affinché firmasse una dichiarazione e “confessasse” di essere una spia per conto di un “governo ostile”.

Quando ha rifiutato, è stato minacciato di essere accusato di reati più gravi. Nel 2017 è stato condannato in via definitiva a morte con l’accusa di “spionaggio” in favore di Israele. L’esecuzione è stata più volte annunciata e poi sospesa a seguito delle pressioni internazionali.

Questa volta però la vicenda è diversa in quanto la notifica dell’esecuzione è arrivata quasi a conclusione del processo di Hamid Noury, un ex funzionario carcerario iraniano, sotto processo in Svezia per crimini di guerra. Noury è accusato di essere una figura chiave nelle esecuzioni di prigionieri politici iraniani del 1988, dove furono massacrati da 2.800 a 3.800 iraniani e per questo è stato chiesto l’egastolo. Dopo questa richiesta l’Iran ha convocato l’ambasciatore svedese.

Il Ministero degli Esteri di Teheran lo scorso 1° maggio ha “condannato fermamente” l’arresto e il processo di Hamid Noury, 61 anni, definendolo “illegale” e ha chiesto l’interruzione del procedimento e il suo rilascio. Gli avvocati di Noury, arrestato all’aeroporto di Stoccolma nel novembre 2019, negano che l’uomo abbia avuto un ruolo nelle “presunte uccisioni”. (la conclusione del processo è prevista a metà luglio)

La vicenda Noury ha attirato l’attenzione delle istituzioni iraniane tanto che Kazem Gharibabadi, segretario dell’Alto Consiglio iraniano per i diritti umani e vice capo degli Affari internazionali della magistratura iraniana, ha annnunciato subito dopo che sarebbero state eseguite le condanne di “individui legati alla Svezia”.

Si potrebbe supporre che l’annuncio di giustiziare il Dr Djalali altro non sia che un tentativo delle autorità iraniane per influenzare il risultato del processo a Stoccolma.

Un’amara e iniqua soluzione potrebbe essere la possibilità di scambio di prigionieri. Uno innocente il Dr. Djalali, l’altro Noury (se confermato) pluriassassino, capace di uccidere centinaia di suoi connazionali. Compromessi volti a salvare una vita umana.

Prima che sia troppo tardi, serve però un’urgente mobilitazione internazionale in cui anche il governo italiano e le istituzioni potrebbero dare il loro prezioso contributo, mettendo da parte gli interessi economici e chiedendo ai rappresentanti delle autorità iraniane la sospensione dell’esecuzione e l’immediata liberazione del Dr Djalali.


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