Le stragi del 1992 furono una reazione alla legge Rognoni-La Torre

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Giorni fa un ragazzino di scuola media, durante un’assemblea preparatoria del quarantesimo anniversario dell’assassinio politico mafioso di Pio La Torre e Rosario Di Salvo e del trentesimo di Falcone, Morvillo, Borsellino e delle loro scorte, mi ha chiesto cosa sarebbe successo se la legge Rognoni-La Torre, prima legge antimafia e madre di tutta la legislazione antimafia della storia italiana e del mondo, non fosse stata approvata e applicata. Ho risposto ricordando che nei trascorsi 122 anni dall’Unità d’Italia l’esistenza della mafia, quale organizzazione criminale specifica di potere e di arricchimento parassitario e predatorio, non era riconosciuta dalla maggioranza della classe dirigente del paese che, però, ne utilizzava i metodi violenti per contenere le rivendicazioni sociali e politiche delle classi subalterne le cui avanguardie progressiste furono antimafiose. Pio La Torre fu ucciso per il suo impegno sociale e politico a favore dei più deboli, per il miglioramento delle loro condizioni di vita, per la pace, per l’attuazione dei principi della Costituzione e per aver presentato il ddl antimafia, approvato dal Parlamento dopo l’uccisione del Prefetto Carlo Alberto Dalla Chiesa. Le stragi mafiose del 1992/93 furono la reazione di Cosa Nostra all’applicazione della Legge Rognoni-La Torre n.646 che rese possibile il maxiprocesso concluso in Cassazione ai primi del 1992.

Dopo la sentenza della Cassazione l’esistenza della mafia fu confermata, appartenervi diventò reato grave e i beni illecitamente accumulati dai mafiosi debbono essere confiscati e restituiti alla comunità depredata. La mafia che pensava di piegare lo Stato democratico attraverso i delitti politico-mafiosi della seconda guerra e le stragi degli anni 90 è stata clamorosamente sconfitta. Le nuove mafie sono tornate ai vecchi e nuovi metodi flessibili, sommersi, corruttivi, sempre intimidatori, ma dialoganti con quella parte del potere politico compiacente, più imprenditoriali per penetrare nell’economia legale nazionale e internazionale riciclando i profitti delle loro sporche attività con l’assistenza di compiacenti professionisti.

Il merito storico di quel manipolo di magistrati, guidati da Rocco Chinnici e composto da Falcone, Borsellino, Di Lello, Guarnotta, osteggiati apertamente o non compresi dalla maggioranza dei loro colleghi, a volte accusati di esibizionismo mediatico, fu quello di aver applicato il 416 bis della Legge Rognoni-La Torre e il sequestro e la confisca dei beni proventi di reato e aver fatto intravedere il complesso rapporto mafia-politica-affari. Infatti, come dimostrano gli studi storici, economici, sociologici e i processi di mafia di questi ultimi decenni, senza collusione e protezione politica le mafie scomparirebbero dal pianeta. Invece esse, adeguandosi alla trasformazione dell’economia globalizzata e finanziarizzata, senza rinunciare alle antiche azioni parassitarie, di controllo del consenso sociale, di corruzione e del voto di scambio, usano ogni fase di crisi sociale, economica, politica per ampliare la sfera della loro presenza. La pandemia, gli investimenti del Pnrr, i flussi migratori generati dalle guerre, dalla disuguaglianza territoriale, dalla crescita della povertà assoluta creano nuove occasione di presenza delle mafie se non contrastate dalla società civile, dal mondo delle imprese, dalla politica e dai governi con azioni di prevenzione anticorruttiva, culturale e politica oltre che dalla repressione giudiziaria. Anche le elezioni nei paesi democratici sono il termometro per misurarne l’eventuale presenza e per combatterla come dimostra il caso Palermo con candidati a sindaco sponsorizzati da pregiudicati per mafia. Se le mafie si sono internazionalizzate, anche l’antimafia ha fatto passi significativi in tale direzione sia sul piano della sensibilità civica che quella istituzionale. Sono cresciute in questi anni la presenza e la collaborazione tra i movimenti antimafia nazionali contro le mafie transnazionali, l’Onu ha rivisitato la Convenzione Palermo 2000 intestandola a Giovanni Falcone, ha ammesso all’ECOSOC una associazione come il Centro Studi Pio La Torre, sono cresciuti la Procura Antimafia europea e gli sforzi dell’UE per armonizzare le legislazioni nazionali riconoscendo le confische degli investimenti mafiosi al di fuori dei paesi d’origine e la collaborazione tra le forze dell’ordine a livello internazionale ed europeo. Nonostante tutti questi progressi le classi dirigenti nazionali non considerano il contrasto delle nuove mafie, nonostante i successi della repressione, prioritario nell’agenda politica per la salvaguardia della democrazia e della convivenza civile per un nuovo modello di sviluppo che ci liberi dalle povertà, dalle ingiustizie sociali e da ogni forma di violenza e di guerra.

La memoria delle vittime innocenti di mafia deve servire a ricordare che la lotta alle mafie deve essere quotidiana, non solo nei giorni degli anniversari, e in tutte le azioni economiche, sociali e deve riguardare la politica, la cultura, l’economia, la società civile.


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