25 aprile a Milano. L’aggressione russa dell’Ucraina non si merita le strumentalizzazioni italiane

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«È un 25 aprile complicato, ma quale è mai stato facile?» Roberto Cenati, presidente dell’Anpi di Milano ha la voce di chi è stanco di polemiche che rendono sempre difficile lo svolgimento di una giornata che dovrebbe unire gli italiani. Gli facciamo presente che è un wishful thinking, che in realtà dal 1946 il 25 aprile non è la festa di tutti gli italiani e lui risponde «infatti ho usato il condizionale».

Questa volta sono gli attacchi contro l’Anpi per ciò che il suo presidente ha detto sull’Ucraina a rendere complicata la manifestazione nazionale per la Liberazione. «L’Anpi mica è una caserma, si discute, ci si confronta – risponde Cenati – e al netto delle sfumature ribadiamo che in Ucraina c’è una resistenza notevole, forse al di là delle aspettative che aveva Putin, una resistenza che ha tutti i diritti di difendersi dall’aggressione». Il tema però non è il riconoscimento di quanto sta accadendo ad un paio d’ore di aereo da Milano, ma di come uscirne. «Innanzitutto – ci risponde il presidente milanese dell’Anpi – occorre un’Europa più presente, che insista per trattative diplomatiche tra le parti. Non è possibile che ci sia stata solo qualche telefonata di leader europei a Putin e il resto del tempo si sia discusso del gas russo. Poi sono molto perplesso – conclude Cenati – sull’invio di armi per l’Ucraina, perché c’è il rischio di un’escalation incontrollabile. Ma questa osservazione non può essere scambiata come una implicita equidistanza: l’escalation l’ha cominciata Putin invadendo l’Ucraina».

Tutto questo ragionamento come si vedrà nel corteo del 25 aprile a Milano? Probabilmente l’elemento che risalterà di più sarà uno spezzone di corteo ucraino. Una comunità già numerosa a Milano e hinterland (20mila) a cui si aggiungono circa 11mila fuggiti dalle bombe russe. Una comunità che si è già mossa con presidi e cortei nei giorni scorsi, e che sarà rappresentata sul palco del 25 aprile da una di loro,.

Dal palco, oltre allo stesso Cenati, ci saranno il sindaco di Milano Beppe Sala, il presidente dell’associazione dei deportati ANED Dario Venegoni, il segretario della Cgil Maurizio Landini e il presidente nazionale dell’Anpi Gianfranco Pagliarulo.

Sono nomi che, al di là delle cariche che rivestono, rappresentano bene il mondo democratico che si sta interrogando e dividendo su cosa fare in condizioni estreme come questa guerra che, oltre al carico di morte e distruzione che ogni conflitto comporta, è stata sovraccaricata di aspettative e strumentalizzazioni. Chiedere di scegliere tra il Bene e il Male, compilare liste di proscrizione, cancellare la razionalità, proporre confronti storici à la carte non aiuta nessuno. Ma anche stare alla finestra – come troppe volte il mondo occidentale ha fatto – non è utile.  È un rito già visto troppe volte nell’ultimo mezzo secolo, in particolare da quando si combattono le cosiddette “nuove guerre”. Mary Kaldor, la studiosa inglese che ha codificato per prima questo concetto, in estrema sintesi spiega che dove sono presenti contemporaneamente eserciti regolari, milizie private, gang criminali e grandi disuguaglianze sociali si scatena un tipo di guerra nuovo, dove vince chi riesce a farla durare più a lungo possibile. Siria, Yemen, Colombia ma anche Afghanistan sono lì a dare conferma a queste analisi. E forse guardare la guerra di Putin contro l’Ucraina con queste lenti aiuterebbe a non ridurre la discussione sul 25 aprile in un insulso referendum: bandiere della Nato sì o no?


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