8 marzo: l’attivista iraniana Mashin Alinejad presenta Be my Voice

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Nella Giornata Internazionale della Donna il nostro pensiero non può non andare anche a tutte quelle donne che in nome delle libertà si trovano nelle carceri iraniane.
Donne alle quale da queste pagine abbiamo sempre dato solidarietà e vicinanza.
E non è un caso che proprio in occasione di questa giornata la giornalista esule, attivista iraniana Masih Alinejad abbia scelto l’Italia per promuovere il suo nuovo documentario sulle donne.
‘Be my voice’ Una giornalista in esilio. Un paese senza libertà. Una voce che diventa milioni di voci’ è un documentario bellissimo che chi scrive ha visto con grande partecipazione e commozione ripercorrendo esattamente la battaglia del velo islamico che le donne iraniane stanno portando avanti da decenni ormai.
Il video racconta la storia di Masih, diventata la voce delle donne iraniane nelle battaglie di civiltà. Essere la voce di chi alla propria voce ha dovuto rinunciare. Essere il punto di connessione tra chi non può parlare e chi, invece, è libero di ascoltare – si legge nel comunicato stampa.
Il video presentato dalla Trucker Film e Pordenone Doc Festival – Le Voci dell’Inchiesta è stato realizzato da Nahid Persson regista iraniana naturalizzata svedese e vede come protagonista la stessa Alinejad.
In tutta Italia il film sta avendo grandissimo successo. Un successo meritatissimo.
Be My Voice ha ottenuto il patrocinio di Amnesty International Italia.
“Questo documentario è un importante riconoscimento a chi, dall’esilio, non rinuncia ad agire in favore dei diritti umani ma soprattutto del coraggio di chi, dall’interno dell’Iran, come Yasaman Aryani e le altre compagne di lotta, mette a rischio il proprio futuro per ribadire un principio fondamentale: le leggi che obbligano a indossare o vietano di indossare capi d’abbigliamento sono contrarie ai diritti”. Ha detto Riccardo Noury, portavoce Amnesty International Italia
La figura di Masih arriva alle cronache internazionali nel 2014 quando era residente in Inghiterra e da Londra lanció la campagna dal titolo “My stealthy freedoom” (la libertà rubata delle donne iraniane) nella quale invitava le ragazze in Iran ad inviarle foto senza velo per poi postarle sui social network.
Successivamente nel Maggio del 2017 sempre dall’estero, dopo diverse campagne, la Alinejad progettó una nuova protesta contro il velo obbligatorio, i cosiddetti WhiteWednesdays, i Mercoledì Bianchi. Una campagna in cui incoraggiava nuovamente le donne iraniane a togliere il velo, rigorosamente bianco, tutti i mercoledì in segno di protesta. Molte ragazze parteciparono; l’appuntamento era in Via Enghelab una delle strade principali di Tehran. Enghelab in iraniano vuol dire proprio ‘rivoluzione’.
La polizia non consentí queste proteste pacifiche e molte ragazze vennero arrestate e condannate a lunghi anni di prigionia.

In carcere in Iran ancora oggi ci sono molte donne, che stanno scontando la pena inflitta dalla Magistratura iraniana, solo per aver protestato contro un obbligo che ritengono, come riteniamo anche noi, assolutamente ingiusto e discriminante, in cui non viene data alcuna opportunitá di scelta.
In seguito con una pena pesantissima venne arrestata anche la loro ‘difensora’, l’avvocatessa Nasrin Southoudeh che si trova tutt’ora in carcere.
Alla metá di luglio 2020 anche il fratello della Alinejad, Alireza Alinejad, che era stato arrestato nel settembre 2019 ha ricevuto una condanna definitiva a otto anni di reclusione. Le motivazioni della accusa sono dovute al fatto di essere il fratello di un’attivista ed in particolare di aver denunciato il piano messo a punto dall’Iran per catturare sua sorella al di fuori dell’Iran.
La storia del velo islamico obbligatorio in Iran risale agli anni in cui l’ayatollah Khomeini fondatore della Repubblica Islamica dell’Iran decisamente contrario all’occidentalizzazione, cominciò ad annunciare una serie di misure restrittive della libertà delle donne. Secondo il pensiero khomenista la donna era l’incarnazione della seduzione sessuale e del vizio, e per nascondere tale potere seduttivo, venne imposto un severissimo codice del costume che doveva essere rispettato da tutte le donne nei luoghi pubblici. Era appunto l’hijab (dal termine arabo coprire), che da allora in poi sarebbe dovuto essere indossato da tutte le donne.
Oggi Masih Alinejad è candidata al Premio Nobel per la Pace e rischia la vita per il suo coinvolgente attivismo. È molto amata dai dissidenti iraniani, da tantissime donne che vedono in lei uno spiraglio di cambiamento dei diritti civili e da tutti coloro che credono nella libertà. La sua pagina Instagram è seguita da più di sei milioni di persone.
Durante la presentazione a Roma lo scorso 4 marzo di Be my Voice, presso il Cinema Caravaggio, alla fine del film, la sottoscritta, che conosceva Alinejad da tempo telefonicamente attraverso interviste sulle sue campagne, ha avuto la possibilità di poterla conoscere e farle una domanda davanti a una numerosa platea. Probabilmente domanda controversa e impertinente:
“Ti senti responsabile di queste donne che hanno seguito i tuoi suggerimenti ed ora si trovano nelle carceri iraniane?”
Una domanda che avrei voluto fare da anni. Mi ha ringraziato della domanda, e ha chiesto che venisse filmata, perchè voleva rendere pubblica la sua risposta nel quale dice di non sentirsi responsabile, che non era la prima volta che qualcuno le rivolgeva questa domanda e che è il Governo Iranian che dovrebbe sentirsi responsabile di queste donne. Nello stesso tempo ha invitato dal palco tutte le giornaliste e le diplomatiche che si recano in viaggio in Iran ha rimovere il velo.
Purtroppo il velo è obbligatorio in Iran e rimuoverlo significherebbe l’arresto.
La mia domanda, che rifarei ancora in quanto giornalista, non voleva essere offensiva ma sicuramente provocatoria.
Sia la domanda che la risposta sono state registrate e il video ovviamente tagliato a perfezione, omettendo tutta la mia parte introduttiva in cui ci sono le mie lodi all’attivista, è stato girato dalla regista del film.
Dopo la risposta la Alinejad mi ha ancora una volta ringraziata, tanto da concedersi sorridente diversi scatti proprio per immortalare questo ‘storico’ incontro.
Probabilmente durante la serata o la notte deve essere arrivata qualche chiamata o chissà cos’altro tanto che il giorno dopo la stessa Alinejad ha postato il video ‘manipolato’ sui suoi social dando il via a una serie di offese, insulti, minacce, intimidazioni nei miei confronti.
Un video che ancora oggi continua a far discutere, accusandomi ancora una volta di essere sostenitrice del Regime Iraniano per aver fatto quella specifica domanda. Per fortuna che la sottoscritta da anni si batte attraverso libri e articoli per i diritti delle donne iraniane.
Lei, ancora in Italia per le presentazioni, questa mattina Giornata della Donna, continua a scrivere di una giornalista italiana che mette in dubbio la sua buona fede.
Una situazione surreale, che non ho ancora ben capito, ma sorge il dubbio che dietro alla mia impertinente domanda ci sia qualcosa che a noi oggi ancora sfugge.
Al di là delle polemiche a noi interessa il forte impegno di questa donna che per anni abbiamo sempre raccontato su queste pagine e su tutte quelle nelle quali la sottoscritta ha scritto, una donna alla quale va e andrà sempre la mia incondizionata stima e la mia assoluta ammirazione.

https://www.repubblica.it/solidarieta/diritti-umani/2014/05/07/news/l_iran_senza_velo-85503593/
https://www.ilfattoquotidiano.it/2019/09/06/iran-annullato-matrimonio-con-sposa-bambina-lindignazione-social-ha-colpito-nel-segno/5434836/

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