Per Monica Vitti: sublime passionaria della finzione

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Con Anna Magnani e Mariangela Melato (partecipazione straordinaria? Franca Valeri), Monica Vitti è stata la più grande, impetuosa  attrice cinematografica del nostro Novecento. Quindi del cosiddetto, e italianissimo, Immaginario Collettivo. E per quanto l’attribuzione “cinematografica”credo le vada “stretta. Meglio:  non restituisce in toto il turbine di estro, eclettismo, generosità, dedizione autentica con cui l’attrice (di razza rarissima: mai ‘fattasi’ diva) affrontava – zelo, leggerezza, apparente non chalance-  la poliedricità dei suoi ruoli, quasi sempre strenui,‘estremi’ e diametralmente opposti: la ladra, la pistolera sudista, la sciantosa, la plurifobica, la misantropa, la straziata in amore (sospesa tra farsa e tragedia).  Del resto, sia con la Magnani sia con la Melato (e ovviamente la Valeri) divideva quelle comuni origini teatrali che la avrebbero accompagnata dalle recite scolastiche sino alle ultime prove della  fittissima carriera.

Di buona famiglia (il padre funzionario al Ministero del Commercio, la madre una estroversa romagnola), una lunga infanzia trascorsa a Messina (dove aveva scoperto la vocazione alla ‘illusion comique’ della  sua roca voce), gli studi liceali passati fra la Sicilia e Roma, Monica è –in verdissima età- allieva della Accademia Nazionale di Arte Drammatica: prediletta da Segio Tofano che la invoglia ed istruisce ad affinare la sua naturale vocazione ai registri espressivi del ‘suscitar sorriso’ mediante quel suo strambo modo di alternare timidezza e ribalderia, imbranato disagio e  arti ammalanti di ragazza oggettivamente bella -ma fuori dai canoni delle maggiorate e similari.

Proprio con Sergio Tofano -inizi anni cinquanta- va  in palcoscenico affrontando Machiavelli, la tragedia greca, Brecht. In  “prestito” anche  al teatro milanese del “Convegno” (diretto da  Enzo Ferrieri) dove è  Ofelia in un Amleto di Riccardo Bacchelli e Bella al Comunale di  Meano. Di soppiatto, e con la complicità del ‘sulfureo’Alberto  Bonucci, Monica Vitti si cimenta con la surreale speditezza del  cabaret meneghino- Senza rete- poi con Sei storie da ridere diretta da Mondolfo (che la valorizzerà in Capricci di Marianna di De Musset, seguito da Franca Valeri che la volle a fianco  nella televisiva monografia  Le donne.)

Intanto, mentre frequenta il set di Fellini e doppia Dorian Gray nel Grido, conosce il suo ‘pigmalione’ Michelangelo Antonioni con cui avrà inizio un travagliato sodalizio  sentimentale e artistico. E’ il tempo in cui- per lei- il grande ferrarese dirige e appronta l’unica compagine teatrale della sua vita mettendo in scena la triade Cabaret di Van Druten,  Scandali segreti,  Ricorda con rabbia di Osborne con Giancarlo Sbragia- ove, in nuce, già affiorano  ‘splendori e miserie’ dell’incomunicabilità padana, sapientemente traslati dal cupo repertorio dell’esistenzialismo francese. Debordano le polemiche, ma il successo di Cannes dell’Avventura  ripaga di tutto e tutti anche al botteghino.

La Vitti espresse benissimo- tramandano le cronache del tempo-  “la gamma controversa dell’infelicità, l’incapacità di amare e agire, l’essere o non essere del cuore”.

Scaturisce così la quadrilogia della solitudine-  L’avventura, La notte. L’eclisse, Deserto rosso,  dal 60 al 63, dove “ciascuno ama ignaro e tremenda fatica”- tematiche forse desuete, in (questi) tempi di inaridimento vegetativo, ma che Antonioni declina con asettica, sbigottita, umana pietas- come a sanzionare una sua verità”non replicabile”se non tramite i virus dell’indifferenza e dell’atonia.

In assenza  di lui, in trasferta statunitense per Blow up, Monica Vitti torna ai suoi vecchi “registri” di estroversa baldanza.  Mario Monicelli, rabdomante sornione  le affida i salaci “estri vendicativi” della Ragazza con la pistola, che renderanno Monica –sul mercato europeo- l’attrice brillante più richiesta e spiritosa, “con alle spalle un curriculum intellettuale che le permette ogni variazione, scorciatoia, sottinteso, messaggio in bottiglia” (M.Porro).  A seguire? Un successo sbaragliante  tira l’atro: da  Dramma della gelosia di Scola, esagitata emulazione proletaria del  ‘triangolo’ borghese con Mastroianni e Giannini allo   ‘one woman show’ Le donne sono fatte così, diretta da Dino Risi. C’è spazio anche per  Disco volante di Brass,  Ti ho sposato per allegria (dalla commedia della Ginzburg) diretta da Salce, per la pochade dell’Anitra all’arancia con Tognazzi, per Tosca di Magni con Proietti e Gassman ed infine nei costumi e nella “mossa” di Ninì Tirabusciò.

Di suo, Carlo Di  Palma (nuovo compagno) le dedicherà, oltre a Mimì Bluette, la commedia neo realista,  tutta da riscoprire,  Teresa la ladra che l’attrice considererà il suo ruolo più amato.

Vellicata anche da film d’autore, Monica passa anche dal Losey quasi a fumetti di Modesty Blaise allo Jancso di La pacifista e al Bunuel del Fantasma della libertà. Breve parentesi di curiosità intellettiva alla quale darà ‘alternativa’  la lunga collaborazione con Alberto Sordi, regista, partner, amico cui sa dare fiducia e affidarsi con zelo.  Nascono così (complice lo sceneggiatore Sonego) le coniugali violenze ante litteram di Amore mio aiutami! e le peripezie  di vetero-avanspettacolo di Polvere di stelle.

Negli anni a venire, la Vitti reciterà in Flirt e Francesca è mia diretta dal suo compagno e marito Roberto Russo e debutterà lei stessa da regista in Scandalo segreto che va a Cannes, grazie alla rinnovata stima francese. La fortuna decrescerà in parte con  Non ti conosco più dalla commedia di De Benedetti, Tango della gelosia di Steno, L’altra metà del cielo di Rossi con Celentano. Ma avrà tempo di rincontrare Antonioni nel barocco Mistero di Oberwald di Cocteau, primo tentativo televisivo, anni ottanta, di film girato con tecnologia digitale  (da rivedere anche a fini didattici).

Dicevamo del teatro, in cui la Vitti riconosce le sue radici.  Nel ’64 affronta  il ‘mostro sacro’ di Marilyn Monroe in Dopo la caduta di Arthur Miller con Albertazzi e la regìa di Zeffirelli. A inizio millennio torna in scena all’Eliseo di Roma con due classici della comicità: la versione femminile della Strana coppia di Neil Simon con la Falk e la regìa dell’amica Valeri, e lo storico Prima pagina di Ben Hecht, storia di una giornalista d’assalto e ‘assaltata’.

C’è ancora tempo per la televisione di qualità che Monica frequenta sin fin dagli anni 50, ovvero al tempo della ‘prosa in diretta’ (e vai con la memoria!). Sarà nel cast delle Notti bianche dostoevskjiane e al Cilindro con Eduardo De Filippo. E poi animando il programma Passione mia per i giovani del Centro Sperimentale, dove snocciola i migliori aneddoti della sua professione. Ancora qualche anno e nel ’95 (dopo aver vinto il Leone d’oro alla carriera a Venezia) si prodiga in due sopraffini volumetti autobiografici Il letto è una rosa e Sette sottane.

Che speriamo ritrovino editore.


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