Affianchiamo “Bella ciao”

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“Bella ciao” è un simbolo universale di libertà, l’icona stessa della Resistenza, l’emblema della democrazia in ogni angolo del mondo e, dunque, merita di essere cantata, difesa e fatta conoscere nelle scuole. Ciò premesso, bisogna prendere atto che da sola non basta più. Come non bastano più i riferimenti all’anti-fascismo, inteso unicamente come l’eroico sacrificio dei partigiani fra il ’43 e il ’45, e come la dissidenza, ancor più eroica, di quanti dissero no quando opporsi al regime mussoliniano significava rischiare, e spesso subire, il carcere, il confino o essere costretti all’esilio. E perdonatemi, ma anche i continui riferimenti all’Olocausto, ai lager, all’abisso di Auschwitz, alla vergogna delle Leggi razziali, all’orrore del rastrellamento degli ebrei, nel Ghetto e non solo, anche questo non basta a garantirci un futuro di pace, libertà e dignità. Perché l’anti-fascismo è un valore sacro, fondante del nostro stare insieme e alla base della nostra Costituzione ma non può vivere solo di ricordi. Ciò non vuol dire non coltivare la memoria storica, ci mancherebbe altro, ma collegare le battaglie di ieri a quelle di oggi. I partigiani e i reduci della Shoah, infatti, stanno purtroppo venendo meno e questo comporta che fra pochi anni, in assenza di testimoni diretti, potremmo assistere a rigurgiti di negazionismo ancora più violenti di quelli cui abbiamo assistito ultimamente. E allora si ampli lo studio della storia, si riformino i programmi scolastici, si vada oltre la Seconda guerra mondiale, non si dia niente per scontato, si mettano in relazione le stragi nazi-fasciste con le stragi che hanno insanguinato gli anni Settanta e Ottanta, si parli espressamente di piazza Fontana, di piazza della Loggia, del treno Italicus, della stazione di Bologna, del Rapido 904, di Falcone e Borsellino, del maledetto biennio ’92 – ’94, del G8 di Genova, e non si abbia paura di compiere paragoni che possono sembrare impropri ma non lo sono. A furia di considerare il nazi-fascismo un fenomeno irripetibile, difatti, rischiamo di riviverlo ogni giorno, in un Paese sempre più fascista, sempre più razzista, sempre più discriminatorio, sempre meno disponibile ad accogliere i migranti, sempre più inacidito, incattivito e pronto a ferire il prossimo senza farsi scrupoli. Cosa è stato, del resto, l’assalto alla CGIL di tre settimane fa se non un attacco di chiara matrice fascista e squadrista? E cosa sono i titoli in cui si invita il Presidente del Consiglio a “tirare dritto” se non esercizi di mussolinismo involontario? È nell’inconsapevolezza che proliferano i mostri. È quando ci si sente eccessivamente al sicuro che i demoni riemergono in tutta la loro ferocia. Noi abbiamo, pertanto, il dovere di custodire quella memoria e condurla nel futuro, ad esempio facendo in modo che i nostri ragazzi e le nostre ragazze sappiano che dei loro coetanei o poco più, vent’anni fa, vennero massacrati mentre dormivano in una scuola e torturati in una caserma da soggetti che inneggiavano al Duce, avevano come suoneria del cellulare “Faccetta nera” e in alcuni casi, a quanto pare, inneggiavano persino a Hitler, con tanto di inno nazista, la cui riproduzione in Germania è considerata un reato penale. Poiché una parte di quei ragazzi e di quelle ragazze, i più colpiti, feriti e ingiuriati, erano proprio tedeschi, sarà bene che l’Italia si interroghi sul vero spread che esiste tuttora fra noi e loro. Non che in Germania non si stia assistendo a pericolosi rigurgiti di nazismo, intendiamoci, ma va detto che sedici anni di governo Merkel, oltre a garantire stabilità al paese, hanno prodotto una coscienza storica e civile ben più forte di quella che esiste da noi, dove una certa destra non è ancora stata in grado di recidere i legami col proprio passato e nemmeno di pronunciare parole definitive sui violenti che hanno messo a soqquadro la sede nazionale del principale sindacato italiano.

La Germania, uscita distrutta dal secondo conflitto mondiale, responsabile dello sterminio di sei milioni di esseri umani nei lager, autrice di una devastazione senza precedenti, a sua volta distrutta, come testimoniano i bombardamenti disumani che furono costrette a subire città come Dresda e Amburgo, e sottoposta a ventotto anni di divisione forzata per via del Muro che tagliava in due Berlino, separando l’Est dall’Ovest, la Germania, dicevamo, ha avuto il coraggio di fare i conti con il proprio imbarazzante passato e di essere oggi una nazione compiutamente democratica. Noi, spiace dirlo, ancora no. La nostra fragilità istituzionale, la nostra crisi politica, che si protrae ormai da trent’anni e che negli ultimi venti ha generato il caos, una destra che ancora candida persone che rinnegano il 25 aprile e una sinistra che, a forza di seguire il blairismo, di elogiare il capitalismo e di esaltare il liberismo selvaggio, si trova ormai a non rappresentare più nessuno, tutti questi elementi ci rendono una “nave sanza nocchiere in gran tempesta”, esposti a rischi enormi per il nostro futuro. E allora non basta più scendere in piazza e intonare “Bella ciao”. Occorre, più che mai, creare una coscienza critica e civile nelle nuove generazioni, denunciando i lager libici e le violenze compiute sui migranti in casa nostra, affiancando ai canti resistenziali “Clandestino” di Manu Chao e altre opere più moderne, mettendo in relazione la barbarie di ieri e quella attuale e contribuendo a non far permanere ulteriormente al governo coloro che volevano porre un tetto agli alunni stranieri, cioè ai nuovi italiani nati da genitori di origini straniere, nelle classi, che esortavano i medici a denunciare eventuali pazienti clandestini, in barba al Giuramento di Ippocrate, che identificano nel migrante un nemico e che hanno aggredito verbalmente un’altra cittadina tedesca di nome Carola Rackete, rea, due anni fa, di aver salvato vite umane in mare, infischiandosene della chiusura dei porti stabilita da un ex ministro che di lì a poco si sarebbe politicamente suicidato per via di una sorta di delirio di onnipotenza che, a proposito di citazioni improprie, lo aveva indotto a chiedere i “pieni poteri”. O i programmi scolastici contempleranno tutto questo o saranno perfettamente inutili. E noi avremo ragazze e ragazzi che non avranno fatto i conti con la nostra storia e i nostri drammi, ossia non saranno pienamente cittadine e cittadini.


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